Viaggi

A Sud-Ovest della Sardegna, dove la favola inizia

Tra il mare cristallino e il deserto sfavillante, una terra che (fortunatamente) conosciamo in pochi

di Fabio Zinanni

Sono sposato con una donna di sangue sardo, da parte di padre, discendente di una delle famiglie storicamente più antiche di Arbus, una gradevole città al confine tra la realtà ed il sogno e quello che oggi vi racconto è un segreto, vi svelerò qualcosa che deve rimanere tra me e voi, perché lì, in quel posto, non c'è spazio per tutti…
Era una calda e assolata giornata di agosto, una di quelle in cui il ventilatore scende in sciopero, una di quelle in cui neanche le mosche più agguerrite riescono a volare, una di quelle in cui ti chiedi se domani pioverà. Ma lo sai che domani non pioverà. La zona è arida e la diga è ormai vuota e anche le dune di Piscinas sono ferme, immobili, il vento non sfiora neanche il deserto che si protrae nel blu cobalto del mare. Fa caldo. Molto. Sono solo le tre e dodici di pomeriggio e sto anelando l'arrivo della notte che so per certo porterà quella brezza che rende famoso il Golfo del Leone. Ma devo trovare una soluzione. Mi trascino verso la porta di legno che socchiude la roulotte abusiva che ho ereditato, mi infilo un paio di vecchi pantaloncini, una canotta da spinning e un cappellino verde sudato e, come a creare un'alchimia meteorologica, imbraccio uno stanco ombrello scricchiolante. Prendo una vecchia Citroen tutta aperta, senza sportelli, senza cappotta, con su un pezzo di un ombrellone per ripararmi dal picco del sole. Tre giri di chiave e il borbottio del 2 cilindri è servito. Mi incanalo per le viuzze di Arbus fino alla strada che scende tra le gole delle montagne, verso la mia unica mèta... il mare. 
Otto chilometri di curve e contro curve, gomiti stretti, alti e bassi, e dopo qualche sussulto mi ritrovo a Bidderdi nella casa della prateria. Sono lì nella speranza di una boccata d'aria fresca ad oltre 492m slm (così almeno recita il cartello che mi saluta all'arrivo), col suo paesaggio mozzafiato: i grandi alberi si affacciano sulla valle, spogliati del sughero (perché qui è ancora una risorsa), giganti nella loro eleganza buona. Il prato non c'è, tutto arso dal caldo. Mi fermo a bere al vecchio fontanile dove scende pigro un rivolo d'acqua fresca. Risalgo in auto dopo aver rassicurato l'ombrellone al tetto dell'auto e baldanzosamente riprendo il cammino verso le Dune di Piscinas. Venti, massimo trenta km/h perché di più non puoi, perché di più non vuoi, perché ti godi un paesaggio di inenarrabile bellezza, perché al di là della gola vedi il mare, perché quel mare sai poter assaporare, perché quel re blu cobalto aspetta le sue regine, le famose dune che si tuffano in uno dei più spettacolari scenari al mondo. La leggenda vuole che le dune fossero state per parecchi decenni scenario di apocalittiche battaglie, di scontri tra popoli, di approdi e di saccheggi. Al mio arrivo mi attende un fragoroso luccichio di sole specchiato nel blu, ma prima ancora il deserto imperioso, che solo la terra sarda poteva regalarci. Riprendo il mio cammino verso il Golfo, verso la speranza di respirare brezza, di percepire l'ebrezza del selvaggio. Tanti chilometri di curve in discesa, di macchia mediterranea, di profumo di cisto, di eucalipto, sulla strada dove si svolgeva il rally di Sardegna e mi sento un po' pilota anche con la mia 2cv, poi mi rendo conto che sono arrivato al bivio che recita Flumini Maggiore o Portixeddu. Ma non mi faccio prendere dalla mano e svolto con decisione a destra, verso il mare. Mi fermo per un attimo a respirare finalmente un'aria più frizzante e mentre giro a sinistra esco la testa a destra ed un nuvolo di moscerini invade l'unico vetro della mia auto. Ma sono arrivato.
Di fronte a me ci sono chilometri sconfinati di spiaggia. Il Golfo del Leone si affaccia qui. Dove la magia inizia. Riposo la mia Citroen a Portixeddu (qui la X è una consonante che si usa) e mi rilasso sulla piazza principale e unica del paese. Sono fortunato perché c'è in programma una serata di balli tipici che non mi perderò per nulla al mondo. Giro il paese a piedi, tra le 4 o 5 vie che ha, una miriade di ristorantini e bar, ma il più caratteristico è quello che si trova a metà della spiaggia, Onda Anomala, da dove parte un gommone che ti fa scoprire le bellezze di questa magnifica terra, ma viste dal mare.
La caratteristica di Sonu 'e perda (il suono della pietra) è che il capitano è una eccezionale guida, che vive il luogo, che respira e si nutre di acqua salata, che mi ha portato a visitare un geyser naturale, che mi ha raccontato di quando i romani abitavano qui, di quando le miniere di carbone funzionavano davvero e di quanto sia incantevole vivere la Sardegna anche d'inverno. Tronfio e pieno d'orgoglio di una terra sì tanto strepitosa, mi slancio verso una terrazza per ordinare una pizza. Mangio e mi godo lo spettacolo dei balli, della gente che si diverte, della brezza ed ebrezza marina, della mia 2cv che stanca mi aspetta per ripartire. I soliti tre giri di chiave e percorriamo i 4 chilometri di costa che ci separano da Buggerru, una cittadina che si basava sull'estrazione del carbone (imperdibile una visita alla Galleria Henry sulla e nella montagna) e che oggi vive essenzialmente di turismo. Molto carina la piazzetta dove ti fermi a sorseggiare una birra anzi, LA birra. Perché fino a che non fosse resa pubblica ai più, la Ichnusa era la bionda più bevuta in Italia, e pensare che non varcava nemmeno i porti sardi... 
Visto che ho un ombrellone piantato sul tetto della mia auto e che non ci penso proprio a tornare ad Arbus questa sera, decido di dormire in auto e di godermi il famigerato cielo di agosto, dove la natura supera la fantasia, dove la via lattea la vedi senza cannocchiale, dove l'orsa maggiore ti strizza l'occhiolino, dove le zanzare pernottano a casa loro. L'indomani mattina mi sveglia fragoroso un bellissimo cane nero randagio che vuole le mie coccole, sorrido ad occhi ancora chiusi e un'onda di bava mi allaga le infradito, costringendomi ad il primo tuffo della giornata. Un colore che va dal bianco al celeste all'azzurro al cobalto, in una infinità di sfumature, con un ritornello di onde che trascinano i surfers già al largo. Spiaggia bianco-talco, sole crescente, bar chiusi, un omino che ripulisce le strade. Sono le 6 del mattino. Sveglio la mia doma auto e con i soliti tre giri di chiave, riparto per andare a visitare il Pan di Zucchero, un monolite immenso in mezzo al mare, che ti fa pensare a quanto siamo piccoli. La spiaggia più vicina è Masua, dove arrivare è una passeggiata. Dove fare una passeggiata. Sugli scogli, ma non con le infradito come ho io... 
Salto in macchina alla Miami Vice, tanto non ho le portiere, e ho voglia di andare a scoprire il Tempio di Antas, vicino Flumini. Sono di strada per tornare ad Arbus. Ci sono i resti di un antico sito romano,  un anfiteatro tenuto anche un po' male, ma di un fascino incredibile, dove puoi sentire echeggiare la voce degli antichi condottieri, dove sembra di intravedere i Mamutones, dove tutto sembra fermo. Tranne me. Accendo il telefono e cerco su google il confine, quel confine, quella linea immaginaria che ci separa dal Sulcis Iglesiente, la regione più povera d'Italia. Con le sue bellezze, con le sue tradizioni, con le sue storie, con i suoi abitanti, la Sardegna del sud-ovest è la terra magica che vorrei vivere. Tutto l'anno.
Ma non ditelo troppo in giro, chè non c'è spazio per tutti.