The Big Apple: la NY che ti sorprende.
Sai come si dice…o la ami o la odi. Io la amo!
di Fabio Zinanni
Ciao a tutti.
Dopo il fantastico viaggio in Portogallo del mese scorso, non faccio in tempo a rilassarmi un attimo che mi arriva una email dal Direttore che recita “Fabio, dai… stavolta ti toccano gli Stati Uniti, decidi te la méta, ma devi partire a breve, che hai un obbligo morale verso i tuoi lettori, ti stanno aspettando”. E pensare che mi sarei voluto prendere almeno un paio di settimane di sano e puro relax, magari lontano da telefoni e tablet e pc. Ma qualcuno questo “sporco” lavoro dovrà pure farlo…J
Stati Uniti: estesi. Troppo estesi. Troppo grandi. Troppo....
Mi voglio allora godere una sola città, quella che ci vai un sacco di volte ma che non riesci mai ad assimilare. Quella che quando atterri dici “what’s american boy?!”. Dove ti senti a metà tra Alberto Sordi e il fanciullino di Pascoli. Quella, sì. NY. E quale miglior modo di iniziare una nuova avventura se non con la rinata Alitalia? Lo scorso mese è stata anche insignita del premio come migliore compagnia del mondo a livello di puntualità. E poi, volendo essere onesto con me stesso, mi sarebbe proprio piaciuto lavorare per un’eccellenza così. Ho a casa uno dei miei libri preferiti che si intitola “AZ610, storia di un volo di tutti i giorni”, scritto da un ex capitano della compagnia di bandiera e dal quale ho appreso una miriade di informazioni, tecniche e non, su come volano ‘sti bestioni dell’aria. E proprio questo numero di volo incantato mi porta in circa 9 ore di piacevole compagnia da Roma a NY, dove atterro (realmente) in perfetto orario, direi quasi tedesco.
Fine febbraio, ore 19 locali. Freddo. Tanto freddo. E pensare che ero appena stato in Portogallo a svernare, mi rituffo nel pieno inverno americano, quello della east coast, quello che quando arriva non punge, stritola. Però è come se mi sentissi a casa. Gli odori, le sensazioni, il caos dell’aeroporto, il profumo dell’America è tutto qui, insieme, e si condensa in un avvolgente ricordo. Esco e salto subito nel primo yellow cab che trovo e mi catapulto con uno dei tassisti più simpatici che avessi mai incontrato nei miei viaggi, un afro-cubano con leggero accento siciliano che mi accoglie con un sorrisone a centoventisette denti e mi racconta la storia della sua vita. Tanto abbiamo tempo. Trascorriamo oltre un’ora nel traffico fino a che raggiungiamo Manhattan. Eh sì, perchè NY non è NY se non inizi da qui. Neanche il tempo di una doccia che mi ritrovo un mega-immenso-fantastico doppio cheesburger in camera. Cerchiamo di capirci subito: quando andate a visitare la Grande Mela, o vi calate nella parte o lasciate perdere. Per questo New York o la ami o la odi. La mattina mi sveglio di buon’ora dopo essermi impasticcato di melatonina per potermi riprendere dal fuso orario. Calzamaglia alla super-pippo, maglia termica, maglione, piumino d’oca, la mia immancabile Nikon, scarpa running, e per la prima volta con le cuffie accese che sparano ad alto volume canzoni di Amy Winehouse e via, fuori in strada ad immortalare istanti di quotidianità.
Sono sulla 59esima (diciamo che stavolta mi sono trattato bene di fronte a Central Park) da dove inizio il mio giro. E’ il più grande parco nel distretto di Manhattan, mi trovo nella Uptown, al centro tra i due quartieri residenziali, l'Upper West Side e l'Upper East Side, i quali prendono il nome dalla loro posizione rispetto al parco. E come un bambino mi dirigo dritto dritto verso lo Zoo, nel ricordo della pellicola Madagascar, dove non vedo l’ora di trovare il leone e la zebra e i lemuri e l’ippopotamo e la giraffa e i pinguini che hanno reso celebre questo bellissimo film di animazione. Non aspettatevi uno Zoo enorme (per fortuna!), piccolo, ben tenuto, con i suoi abitanti che sono tenuti molto rispettosamente. Con 18$ si ha diritto ad accedere anche al cinema 4D che non è niente male. Non posso dilungarmi troppo, ma sarei rimasto ancora più delle 3 ore dopo le quali mi hanno letteralmente trascinato fuori gli stessi pinguini… Spinto dal fanciullino Pascoliano che è in me, percorro una parte della celeberrima 5th Avenue e mi dirigo verso il civico numero 1000, dove si trova il Metropolitan Museum of Art e dove hanno girato la saga di “una notte al Museo”. Wow… è grandioso, immenso, bellissimo, tutto bianco. Riesco a malapena a bilanciare i colori della mia reflex, tanto è splendente. Entro con un biglietto da 25$ e trovo una mostra che stavo cercando da anni, quella di David Hockney, artista inglese ottantunenne, che ha in esposizione i suoi più significativi dipinti dagli anni ’60 in poi. Mi rapisce completamente e neanche il mio stomaco reclama l’ora. Esco dal museo che è pomeriggio inoltrato e, adesso sì, ho una fame incredibile. Subito sulla sinistra, a pochi metri dall’esposizione, c’è un chiosco (Maoz) che prepara cibi vegetariani di buona qualità. Tanto poi stasera me ne andrò a cena da un amico che ha saputo dal mio direttore che mi trovo a NY. Il tempo di divorare un sandwich con falafel, un green bowls, una Coca Cola ed un simil caffè, che risalgo su un taxi per tornare in hotel. Appuntamento alle 7pm con il mio amico Paul che mi porta a mangiare italiano. Cosa? No please, I just wanna eat differently… Invece insiste e mi ci porta di peso. Arriviamo al San Carlo Osteria, una chicca di ristorante, un gusto raffinato, un ambiente caldo e amichevole che quando usciamo ci danno perfino una cioccolata calda come dolce ricordo. La serata scorre tra risate e momenti importanti, rievocando gli ultimi anni che hanno caratterizzato questa città.
L’indomani mi sveglio di soprassalto con un tonfo che viene da fuori, qualcosa di grosso, qualcosa di allarmante, qualcosa che è nell’aria, qualcosa che veramente ti fa passare la vita davanti in un secondo. La cameriera al piano era caduta. Una fragorosa e impetuosa caduta. Ed aveva sparso le colazioni che stava portando alle camere, tra cui la mia. “Mama, what’s up?” e lei “nothing dear, I’m just in love…”. La aiuto a rialzarsi e con un grandissimo sorriso mi ringrazia di cuore e dopo un breve scambio di informazioni, mi invita a farmi da cicerone per la city come se fossi un abitante, non da turista. “Sure Mama, one hour and I’m ready, good?” e lei “yeah, that’s fine, I’m finishing my working day right now. I’ll wait you down”. Detto e fatto. Mi vesto come al solito della mia curiosità e mi reco nella hall dell’albergo dove mi stava aspettando questa bellissima donna sulla sessantina, rotonda, allegra, alla Whoopie Goldberg per intenderci che col suo sorriso mi dice “hi guy, let’s go discovering NY”. Prendiamo a piedi la 7th verso Midtown e vi giuro che ho passato tutto il tempo col naso all’insù, come fosse la prima volta tra questi grattacieli altissimi che lasciano intravedere il blu del cielo e si specchiano l’un l’altro come in una gara di bellezza. Dopo una bella camminata arriviamo a Times Square, la famosa piazza piena di luci e schermi e persone che attraversano la strada a stormi. Ancora un altro yellow cab e ci porta a visitare il ponte di Brooklyn. Un classico. Una di quelle attrazioni involontarie che devi vedere se vai lì. E Mama mi ha detto una cosa che non sapevo: il ponte fu inaugurato l’anno prima, nel 1883, ma solo nel 1884 fu realmente collaudato. Come? Da uno squadrone di 21 elefanti, 7 cammelli e 10 dromedari che ne certificarono la stabilità. Queste sono le nozioni che amo che solo uno del posto può raccontarti. Guardo l’orologio e chiedo scusa al brontolio del mio stomaco e faccio cenno di voler mangiare qualcosa. Giro gli occhi e trovo uno di quei piccoli ma deliziosi camioncini bombati, stile anni ’30, con un enorme hot dog sull’insegna, al quale non riesco proprio a rinunciare. Mi affogo di senape, ketchup e maionese, contorno di chips e Pepsi… Grazie New York di esistere! Mama mi lascia, perchè comunque ha la sua vita, i suoi cari che l’attendono e la ringrazio con un abbraccio infinito per avermi fatto passare una bellissima giornata e avermi fatto sentire un po’ di più newyorkese.
Cammino con la mia fida reflex al collo ed immortalo un gruppo di ragazzi che giocano a basket nel più tradizionale dei modi, cento passi oltre un’enorme moto Harley e ancora due grossi ragazzoni che fuoriescono musica da tutti i pori con il loro rap a duemila all’ora. Sono nel quartiere di Brooklyn, dove si masticano le chewing-gum, dove il tempo sembra sia fermo agli anni ottanta. Decido di tornarmene in hotel utilizzando la train, la metro della Big Apple che conta 470 stazioni e ben 24 linee. Un consiglio vi do: se starete qui almeno 4-6 giorni acquistate una MetroCard del valore di 33$ che vi darà corse illimitate, magari evitando di prenderla di notte.
Visto che sono un nostalgico degli anni ’80 e visto che sono un fanciullino, mi dirigo verso Park Avenue da dove origina una delle sit-com con la quale sono cresciuto: Arnold. Camminare nelle strade, respirare Harlem, vivere uno dei quartieri più introversi del Paese non ha prezzo. E poi ti ritrovi davanti all’Apollo Theater, uno dei più famosi club musicali degli Stati Uniti ed il più noto al mondo per quanto riguarda gli spettacoli di musicisti afroamericani da dove arrivano personaggi del calibro di Ella Fitzgerald, James Brown, Gladys Knight, Michael Jackson e The Jackson 5. Basta a convincervi che spendere 20$ per una notte lì potrà soddisfare le vostre curiosità? Le mie le ho esaudite tutte, una incredibile serata, una boccata di storia che ti pervade, un brivido nel caldo abbraccio del passato. Sensazioni che a parole non si descrivono.
E come al solito l’orologio non è mio amico. Siamo arrivati quasi alla fine di questo seducente viaggio, ma non prima di aver fatto un tour di Wall Street. Eh sì, una puntatina nel distretto finanziario più importante al mondo non me lo faccio proprio scappare. Due ore circa di visita a piedi di alcuni tra gli istituti finanziari più importanti di New York, che sorgono a downtown di Manhattan.Tra questi ho visitato la sede della borsa americana (appunto Wall Street), la Federal Reserve, il New York Stock Exchange, il Museum of American Finance ed il celeberrimo Toro di Wall Street (simbolo dell’economia americana e location per i selfie di rito). E dopo questa simpatica camminata mi trovo casualmente innanzi ad un altro street food al quale non resisto e devo mangiare le famose BBQ ribs, le costolette di maiale e le ali di pollo arrostite. Poi passo ai Bagel, che sono una sorta di panini a forma di ciambella che vengono mangiati farciti in vari modi anche se la versione più gettonata è quella con crema di formaggio e salmone, e poi mi prendo anche un Cupcake, una sorta di muffin rivestito di leggerissima e dietetica crema di burro… Certo è che tornerò da questo viaggio con almeno un paio di kgs in più da dichiarare al momento dell’imbarco!
L’ultima sera qui non mi lascio sfuggire una partita, anzi, “la” partita di cartello NBA tra i New York Knicks e i Golden State Warriors nel mitico impianto del Madison Square Garden. Ho speso una cifra esorbitante per avere il biglietto nel settore 11, ma questo è un regalo che il mio Direttore ha deciso di farmi. Se volete assistere a ciò che gli Americani definiscono spettacolo, questo è il posto giusto e il match perfetto. Tutto si illumina. Tutti si accendono. La musica va che è una meraviglia, le ragazze pon-pon esistono realmente, entrano i players in campo come fossero dei centurioni al Colosseo. E lo speaker annuncia tutti i nomi dei giocatori, uno ad uno, e lo stadio risponde ad ogni sollecitazione. Brividi. Sussulti. Palpitazioni che solo lo show-business americano riesce a creare. La partita finisce alla grande, tirata come non mai, tutti gli attori recitano la loro parte con grande enfasi. Non mi divertivo così da tanto tempo. E proprio il tempo mi ricorda che è quasi ora di lasciare questa incredibile città.
Ho ancora una giornata a disposizione da spendere in giro, perchè grazie ad Alitalia il volo parte la sera tarda da JFK e quindi posso sfruttarmi in pieno anche quest’ultimo giorno che dedico interamente allo shopping (tanto posso portarmi due valigie da 32kgs in classe Magnifica!). Decido di affrontare i famosi grandi magazzini di NY iniziando da Macy’s in Herald Square, è davvero qualcosa da vedere. Il negozio si estende su un intero isolato e anche se non si desidera acquistare nulla, le vetrine sono uno spettacolo per gli occhi. Siccome mia figlia mi chiede sempre di riportarle vestiti, mi butto di peso nel Century 21 (a Lower Manhattan) che è la mèta ideale per gli sconti sui capi, quelli firmati. Mai comprare abiti di marca in una boutique costosa prima di aver rastrellato da cima a fondo questo negozio! È probabile che si trovi lo stesso articolo, ma molto più economico.
Sono ormai le sei di pomeriggio ed è ora di incamminarmi verso l’aeroporto, dove conto di rilassarmi un po’ prima del volo. Chiamo un taxi al volo, salto dentro, e ritrovo lo stesso afro-cubano con accento siciliano che mi aveva accompagnato all’andata che mi riconosce e abbraccia come un fratello. Stesso tempo, stesso itinerario e dopo un’ora di chiacchierata mi scarica a JFK dove mi attende la storica AZ611 per riportarmi a Roma. Due ore nella lounge e diritto all’imbarco prioritario, neanche mia moglie mi coccola così… poi sali a bordo e ti senti a casa e orgoglioso di essere Italiano.
Le nove ore di volo scivolano via con troppa facilità, vorrei rimanere ancora un po’ lassù nel cielo a farmi viziare dai miei nuovi amici, ma siamo già arrivati a Fiumicino.
Cosa riporto da questo viaggio oltre ai 32kgs di regali? Una certezza: quella che a NY puoi andare quando vuoi, come a Parigi o Londra, anche per un long week end, perché la scoperta sia infinita.