LE OLIMPIADI “NASCOSTE”
La televisione come asset fondamentale per lo sviluppo e la crescita di tutte le discipline olimpiche
di Eugenio De Paoli
Il Presidente del CONI Giovanni Malagò può essere giustamente soddisfatto e orgoglioso per le 10 medaglie conquistate dagli azzurri alle Olimpiadi invernali PyeongChang in Corea del sud.
Tre ori, due argenti e cinque bronzi.
Doppia cifra Malagò aveva previsto e doppia cifra è stata, con il dodicesimo posto nel medagliere.
Non succedeva da Torino 2006.
Ma c’è anche un altro motivo di vanto per la spedizione italiana che conquista il sesto posto nella speciale classifica per piazzamenti nella top ten delle 102 gare disputate: 55 top ten.
E’ un dato importante perché in proiezione futura vuol dire tanto.
E tanto fa sperare.
Sugli scudi le “nostre signore d’oro delle nevi”: Moioli, Fontana e Goggia.
Grazie in particolare a loro tre, per tre volte sono suonate nella Corea del sud le note dell’inno di Mameli regalando così un brivido caldo e un’emozione unica nella gelida PyeongChang.
Ma televisivamente che resa hanno avuto le Olimpiadi invernali nel nostro paese?
Premessa: tutti quegli sport che non sono calcio aspettano quattro anni per avere una vetrina olimpica, che si tratti di giochi invernali o estivi.
Un proscenio a livello mondiale fondamentale e unico per lo sviluppo e la crescita delle varie discipline.
Ora è vero che nel caso specifico il fuso orario non ha certo aiutato, è vero anche che la qualità delle riprese è stata assolutamente scadente, è vero che spesso deprimente, soprattutto nelle gare sulla neve, è stata la partecipazione del pubblico, ma va detto che, se non ci fosse stata la RAI, gli ascolti televisivi sarebbero stati quasi nulli.
Non pervenuta infatti Eurosport che detiene i primi diritti sulle Olimpiadi.
Del resto la decisione di non chiudere l’accordo con Sky per la trasmissione sulla sua piattaforma dei Giochi era apparsa subito a molti una sorta di suicidio editoriale annunciato.
Il risultato alla fine è stato di una media di ascolto di 9000 spettatori.
Che significa quasi zero.
Un tema sul quale bisognerà assolutamente riflettere anche in previsione dei Giochi estivi di Tokyo in programma tra due anni.
Anche il CIO dovrà prima o poi capire che l’Olimpiade non può essere solo un business legato al costo dei diritti che, tra l’altro, sono schizzati a quote senza senso.
Basti pensare che Discovery è riuscita a fare “banco” mettendo sul piatto del CIO 1,3 miliardi per i diritti Europa delle edizioni dei giochi olimpici 2018, 2020, 2022 e 2024 (2018 e 2020 oltretutto senza Inghilterra e Francia).
Una folle corsa al rialzo che va avanti da anni e che rischia di trascinare verso il basso tutto il movimento olimpico.
Gli eventi sportivi di massimo interesse nazionale - tra questi mondiali di calcio e le Olimpiadi - devono essere garantiti per legge in modo tale da raggiungere il massimo numero di persone possibile.
Perché la maglia azzurra deve essere di tutti, è un valore assoluto.
Così avviene in altri paesi europei.
E questo dovrebbe essere il ruolo garantito della tv di stato che, almeno per quello che riguarda l’Italia, non si può permettere di partecipare ad aste milionarie dovendo oltretutto gestire denaro in gran parte pubblico.
Da noi l’unico obbligo è quello legato alle ore di trasmissione: chi detiene i diritti (in questo caso Discovery) deve cedere sul mercato delle televisioni generaliste in chiaro 100 ore tra dirette e differite per le Olimpiadi invernali e 200 per quelle estive.
Ora gestire 100 ore significa prima di tutto essere costretti a scelte spesso dolorose e non sempre prevedibili.
Secondo si perde in gran parte il senso dello spettacolo olimpico che è uno spettacolo globale e nelle sua globalità dovrebbe essere trasmesso.
Un esempio: se alle Olimpiadi di Torino 2006 ci fosse stata la costrizione delle ore di trasmissione, il curling non sarebbe mai andato in onda.
Allora oltretutto era una disciplina qui da noi pressochè sconosciuta.
Chi avrebbe mai scommesso che, mandato in onda allora addirittura in prima serata, avrebbe potuto registrare oltre 4 milioni di spettatori.
Ma quando hai la piena titolarietà dei diritti e riesci a costruire un palinsesto sulle 24 ore, come venne fatto allora, si crea quello strano fenomeno per cui il grosso del pubblico televisivo rimane incollato davanti al video e segue tutto.
Anche perché questa è l’impostazione corretta per la trasmissione delle Olimpiadi viste come un grande, unico spettacolo in cui tutto può accadere da un momento all’altro, dove l’attesa per il colpo di teatro ti “costringe” a rimanere sempre li.
E questa è una delle meraviglie dei giochi olimpici, la gara di un giorno in cui tutto può succedere e il risultato che non ti aspetti è quello che alla fine esalta tutto il prodotto.
Dove non sempre il favorito vince e il risultato a sorpresa può arrivare da qualunque campo.
Tutto ciò premesso e tornando al ruolo della RAI, nel ranking degli eventi più seguiti di questi giochi invernali al primo posto il biathlon femminile del 17 febbraio con 860mila spettatori e uno share del 6.42%.
Segue un elenco di 25 discipline trasmesse da RAI 2 e RAISPORT, più o meno tutte a cavallo dell’ora di pranzo, che hanno registrato ascolti tra i 500mila e gli 800mila spettatori e uno share compreso tra il 3,5% e il 6.5%.
In questa speciale classifica delle top 25, si trova per 12 volte il pattinaggio sul ghiaccio, 9 volte lo sci nordico, due volte lo slittino e una volta lo sci freestyle e lo snowboard.
Assente lo sci nordico, che però è stato più volte proposto nelle rubriche e negli studi olimpici con risultati di ascolto tutto sommato buoni.
In sintesi si tratta di ascolti eccellenti considerato il panorama descritto, ma certo lontani da quelli di una volta.
Rimane la convinzione che se si fosse potuto costruire un palinsesto più ampio le cifre sarebbero state certamente molto più alte.
Ci sono due anni per lavorare sui prossimi giochi estivi.
Il tempo c’è per studiare soluzioni nuove e diverse a patto che tutti facciano la loro parte.
E’ auspicabile un tavolo di lavoro, magari promosso proprio dal CONI e/o dalle istituzioni.
Le idee non mancano.
Attenzione perché già si comincia a far fatica a trovare città disposte a candidarsi per i giochi e sempre più fatica si farà visto che storicamente i costi degli investimenti sono sempre troppo alti e per questo difficilmente recuperabili.
Se viene a mancare anche l’apporto della televisione, fondamentale per gli investimenti pubblicitari e non solo…la situazione potrebbe diventare davvero critica per il futuro.
In ballo ci sono tutti quegli sport che hanno costruito negli anni pagine indimenticabili di storia per il nostro paese e che non solo per questo meritano di avere una considerazione diversa.