La contraffazione nel settore sportivo
A cura di Claudio BergonziSegretario Generale INDICAM
La contraffazione è un’industria. Non è più da classificare come un fenomeno, come uno sporadico danno inferto solo a brand nell’immaginario collettivo “ricchi”, non più qualcosa di esclusivamente legato al lusso, nemmeno più di esclusiva provenienza extra- Eu, nel Far East del Mondo. E’ un’industria che, al pari di quelle legali, utilizza stabilimenti, in alcuni casi, e non sono pochi, non più “scantinati” come si pensava un tempo. Sfrutta canali di distribuzione e vere e proprie supply chain, per consentire maggiore e più capillare diffusione dei beni falsi. E’ un’industria che utilizza anche evolute leve di marketing, sia nel canale fisico che in quello online.
E come ogni industria tende a coprire ogni settore, anzi, quelli che sono più interessanti per incontrare la domanda del pubblico.
Alcuni punti differenziano questo industria da quelle legali però. Innanzitutto: nessuno sa bene quanto fatturino o quanti ci lavorino. Nessun fisco potrà mai sapere che tasse vengono evase con produzioni di merce falsa. E al pari nessun amministratore o governante potrà mai percepire la totale e reale portata di quanto questa industria possa inquinare il mercato legale. E se l’industria di fatto non esiste perché non censita, nessuno si potrà mai preoccupare di dove vengano riversati i suoi rifiuti o di quali condizioni di lavoro sopportino le “maestranze”.
I motivi per cui la contraffazione è diventata una vera e propria industria sono presto spiegati: denaro. Marginalità, profitti, rischi. I primi due altissimi, gli ultimi bassissimi. Per organizzarsi criminalmente e decidere di violare alcuni marchi non ci sarebbero condizioni migliori.
Pur nell’assenza di ufficialità la contraffazione ha però stime, calcolate con metodi complessi ed affidabili, che danno la misura di quanto pesi. Si parla di 1300 miliardi nel solo 2015. Questo valore si riferisce a prodotti falsi nel Mondo. E se si pensa il 5% delle merci in entrata in EU è falso, con un valore doppio rispetto al resto del Mondo, non c’è sicuramente da essere positivi.
E’ importante capire che settori sono bersaglio dei falsari. La risposta è breve, e chiara: tutti.
Ci sono gli oggetti di lusso, ci sono parti di motore, ci sono vaccini ed antibiotici, detersivi e prodotti di igiene, oggetto di lusso e guarnizioni da pochi centesimi. Tutto ha un prezzo, un margine, un calcolo che porta il contraffattore a valutare se copiare o meno. Solo una questione di analisi dei benefici, senza entrare in ulteriori analisi.
Se, quindi, come evidente non esistono prodotti che non siano copiati, allora lo sport come si pone in questo cupo scenario? Esistono tendenze che facciano dello sport un terreno libero dal falso? Oppure che possano prevedere migliori scudi protettivi per ciò che è legato allo sport?
Anche in questo caso la risposta è semplice e chiara: no.
Anche nello sport esiste il falso. E attenzione: non solo di una maglietta di un top tema di calcio, ad esempio, ma anche di oggetti più “tecnici, come potrebbe essere un bastone da Golf o anche una racchetta. Ogni volta che c’è un brand, meglio se affermato, possiamo ragionevolmente pensare che ci sia qualcuno che ne valuta l’opportunità di violarlo. Arrivando a una conclusione: conviene. I numeri in gioco sono alti; per esempio, non considerando il settore delle magliette e della calzature sportive, che vedremo tra poco, la contraffazione di articoli sportivi relativamente alla sola produzione impatta per circa mezzo miliardo di Euro. La cifra da sola magari non dice molto, ma diventa un più comprensibile 6.5% del totale produzione in Europa. Questo dato già di per sé indica cosa si stia perdendo Oltre al fatturato in meno per le imprese, pesano anche minori entrate fiscali e un danno più esteso sulla filiera in senso esteso. La stessa filiera che, in alcuni casi, può essere “infiltrata” con produzione non genuina.
Con il rischio di fare molta fatica ad accorgersene. Un caso portato alla luce da un’agenzia delle Nazioni Unite fa capire che tipo di complessità ci sia dietro una scarpa contraffatta, e perché sia legittimo chiamare la contraffazione “un’industria”.
Nella situazione descritta, realmente accaduta, si è partiti da un acquisto di un prodotto originale. Una scarpa, comprata in uno store senza dubbio ufficiale, acquistata solo per fare da campione. Per mostrare ai creatori di copie come fosse l’originale. Una volta capito che elementi caratteristici dovesse possedere la scarpa per rassomigliare il più possibile a una vera, allora i “gestori” del business decidevano come differenziare la produzione secondo diversi livelli di prezzo. Con questo andando anche a determinare la scelta di produrre in un luogo o in un altro. Si potevano avere scarpa di livello basso, ma con prezzo ancora più basso, fino a prodotti in tutto e per tutto uguali agli originali. Prodotti la notte nelle stesse fabbriche cinesi in cui, di giorno, si seguiva la produzione per il brand. Questa già complessa e ben organizzata macchina, viene ulteriormente raffinata per gestire aumenti della domanda. Si ampliano, allora, i canali di produzione, con cross-collaboration tra la Cina e la Campania. Come a dire: non solo “un’industria”, ma addirittura una mutinazionale.
Analizzato il lato “industria”, che ne pensano gli utenti? I consumatori sono davvero i primi complici dei “falsari”?
Questa teoria è vera in grande parte. Comprando un bene, poniamo scarpe sportive di ultima generazione, ad un prezzo simile all’irrealtà su una bancarella volante per strada, il cliente deve immaginare fondatamente che c’è qualcosa di strano.
Una maglia da calcio del Manchester United, ad esempio, trovata per 20€ su una bancarella del mercato di Sanremo; difficile pensare sia un maxi-outlet ufficiale del team inglese. Acquistandola, il cliente dovrebbe ragionevolmente essere sceso a patti con il falsario di turno. Se, come successo anche recentemente con maglie da ciclismo, poi dopo poche ora dall’averla indossata la maglietta del United inizia a determinare fenomeni di prurito e altre allergie, beh anche questo può essere un effetto secondario che il cliente deve accettare.
Nell’offline, come si chiama in gergo il mercato “fisico, tipologia di canale di distribuzione (bancarella del mercato di Sanremo) e prezzo (20€ per la maglia dello United) devono essere presi a riferimento per capire che si sta comprando un falso e che poi non si potrà dire la fatidica frase “non potevo saperlo”.
Tutti sanno, però, che gli utenti si spostano sempre di più verso acquisti online. Internet, nel caso dei prodotti sportivi, ha favorito la diffusone di modello non originali, oppure è qualcosa che è sempre esistito? Vero sia l’uno che l’altro. Certamente il falso è ovunque, ma occorre anche dire che è talmente facile porre qualcosa in vendita attraverso internet, che ciò sicuramente favorisce la diffusione.
I fattore chiave: la facilità. Si somma al profitto e al basso rischio e rende comodo poter gestire un negozio di vendita di falsi oppure un profilo di qualche social che attragga clienti in quella direzione.
Non è difficile trovare una scarpa da calcio, o da running del marchio Nike, per esempio, a prezzo estremamente competitivo. Piuttosto complesso, invece, potersene accorgere in molti casi.
Come mostrano le immagini, i siti possono essere bellissimi. Simili, uguali anche a quelli del brand. In effetti molto simile. Troppo simile. La risposta è presto detta: il negozio falso è uguale nell’apparenza a quello vero, perché ne “ruba” immagini e caratteristiche.
Immagine bella e come quella originale.
Recentemente, nel mese di aprile 2016, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha potuto “oscurare” oltre 170 siti di vendita di merci contraffatte. Una cifra ragguardevole, che però vista dall’altro lato della medaglia è una goccia nel mare.
Tanto che, in una ancora più recente attività di indagine, altri 250 siti sono stati analizzati, evidenziando molti prodotti sportivi.
C’è un consiglio da poter dare agli utenti per non cadere nelle trappole che il web può riservare loro? Almeno di base, si può dire che una buona lettura, oltre che delle caratteristiche della scarpa, delle clausole che la legge garantisce al consumatore relativamente a reso, politiche in caso di difetti, privacy potrebbe far capire che si è in presenza di siti di vendita beni falsi. Una dicitura nella parte relativa al reso del prodotto difettoso “I nostri prodotti sono di tale buona qualità che siamo certi che non ci sarà bisogno di alcun reso”, non può ragionevolmente far pensare a un cliente che questo è la semplice verità e, quindi, che lui è tutelato.
O ancora: si può pensare di essere in presenza di un vero evento “charity” solo perché Facebook me lo propone? Sarà davvero così, stimolando vendite di prodotti appetibili, scarpe e occhiali in testa per pochi Euro? Non sarà il caso di non aggiungersi alle migliaia di follower della pagine in questione? Facebook ed altri social sono usati dai contraffattori per promuovere siti esterni al social su cui spingere gli utenti a comprare. Con sequestro del sito. Lo stesso meccanismo usato un anno fa da un personaggio che con decine di migliaia di follower invadeva Facebook con inserzioni di orologi falsi di lusso. Ora ha decisamente meno follower, essendo stato rinviato a giudizio a seguito di denuncia anche di INDICAM alla GdiF. Per lui il crimine non paga.
Il digitale, quindi, ha cambiato le nostre abitudini. Si fa sempre più online per compiere una molteplicità di azioni, tra cui comprare.
Fare attenzione ai pochi dettagli precedentemente esposti può migliorare la situazione ma certo, se si pensa che su un gigante dell’e-commerce come il Gruppo Alibaba, da quasi 500 miliardi di Dollari fatturato annui, veicola oltre il 60% di merce falsa, allora essere ottimisti è un po’ più difficile. Lo stesso Alibaba il cui proprietario è stato accostato al Milan in caso di vendita a imprenditori cinesi. Chissà se avremmo visto allora un moltiplicarsi di Carlos Bacca per tutta la rete?
Fare attenzione, quindi, sempre e senza abbassare la guardia, che si tratti di vendita “fisica” o su internet, che si tratti di un sito trovato tramite un motore di ricerca o di un’inserzione su Facebook. Ci sono regole per non cadere involontariamente nella trappola tesa dai contraffattori. Rispettarle, soprattutto nel caso dell’online che può ingannare utenti meno orientati a cercare il falso, può volere dire proteggere sé stessi, la propria identità e anche la sicurezza della propria carta di credito e di ricevere la merce pattuita, entro i termini pattuiti, con la possibilità di renderla entro un lasso di tempo; perché questo è un diritto del cittadino e non vale dire “la mia merce è talmente buona che non te la faccio rendere”.