VOGLIAMO OSPITARE LA COPPA DEL MONDO
Intervista in esclusiva al Presidente della Federugby, Marzio Innocenti.
di Luigi Capasso
Per uno Sport che nasce nel 1823, 24 anni di storia sono un soffio, ma per noi sono stati tempesta. Ma, finalmente ora, si comincia ad intravedere il sereno. Dal 2000, anno in cui le nazioni sono diventate Sei, il Torneo rugbystico più glorioso ed importante al mondo non aveva mai visto un Italia così forte. Questa edizione ha portato a casa ben 2 vittorie ed 1 pareggio, con quel palo all'ultimo istante A Lille che, se fosse entrata la palla, avremmo scritto la storia. Alla presidenza dell'Italrugby dal 21 Marzo 2021, c'è Marzio Innocenti, classe 1958, livornese di nascita, padovano di adozione rugbystica, professione medico otorinolaringoiatra, con una grande passione da tutta una vita: la palla ovale....
Presidente... Prima giocatore, campione d'Italia quattro volte con il Petrarca, Azzurro con 42 presenze, capitano della Nazionale, allenatore, dirigente ed ora Massimo esponente del mondo del rugby. Cosa può ancora chiedere di più a questo sport?
Quello che mi ha insegnato. Restare con i piedi per terra e cercare di migliorarsi ancora giorno per giorno. Crescere in modo costante, a piccoli passi, questo è quello che posso chiedere. Comprendere che siamo in un momento positivo ma possiamo fare sempre meglio. Stanno arrivando i risultati di un lavoro iniziato anni fa, nonostante siano stati a volte altalenanti ci hanno portato a dire la nostra in ambito internazionale. Anche a livello di nazionali giovanili e femminile. Nonostante la dolorosa battuta d'arresto della Coppa del Mondo in Francia, siamo in continua crescita e possiamo cominciare a sperare in futuri importanti successi.
Da Capitano della Nazionale, quanto avrebbe dato per giocare il Sei Nazioni?
Tanto, se non tutto. Ai miei tempi si disputava il Cinque Nazioni e vedevamo quelle squadre come un miraggio ed una meta, mi permetta la battuta, da raggiungere. Ora che partecipiamo anche noi è veramente un onore ed il coronamento di un lavoro di decenni. Nella nostra vecchia situazione ora c'è la Georgia e comprendo la loro frustrazione nel restare spettatori inermi.
Miglior Sei Nazioni. Frutto del cambio dell'allenatore o della linea verde?
Potrei dire, tutte e due. Ringraziando il grande lavoro fatto dal predecessore Kieran Crowley ma Gonzalo Quesada, sulla panchina tricolore dal 1 Gennaio 2024, ha contribuito notevolmente con la sua visione di gioco a questi risultati. Da tre anni è cominciato un nuovo ciclo, possiamo affermare un nuovo Progetto. Alcuni giocatori, vista la carta d'identità, hanno dovuto alzare bandiera bianca per fare posto ad un gruppo di ragazzi eccezionali che interpretano al meglio il rugby azzurro.
Con una compagine così giovane, è davvero l'inizio di un nuovo corso...
Indubbiamente questi ragazzi possono solo crescere e migliorare. Abbiamo sicuramente indicato la strada ed ora possiamo solo raccogliere i frutti. Ma dobbiamo lavorare tutti insieme. Chi va in panchina, chi resta in Tribuna e chi lotta in campo deve essere una sola cosa, solo così potremmo fare grande la nostra Italia.
Il rugby nel nostro Paese, per gli sportivi in generale, ricorda un po' le Olimpiadi di alcune discipline. Finito il Sei Nazioni rischia di cadere nel dimenticatoio... I club non suscitano la stessa attenzione e passione...
Vero. Noi abbiamo 2 franchigie di eccellenza, ma gli altri club che disputano i vari campionati nazionali non hanno un grandissimo seguito di pubblico. Molto dipende dall'ondivaga attenzione dei Media sarebbe altrettanto importante se almeno una dozzina di società potessero avere la solidità economica che hanno alcuni dei nostri team. Ovviamente, se si avvicinasse qualche Azienda forte e finanziariamente solida potrebbe fare da capofila ad una crescita del Movimento. Ora non possiamo paragonarci alla Francia o alla Gran Bretagna ma con i nostri settori giovanili in forte ascesa, confido che un domani, passo dopo passo, si possano raggiungere importanti traguardi. Ora, nostro malgrado, si cerca di fare le rose con ragazzi che vivono nel territorio o in zone limitrofe. Un domani, con budget adeguati, ci si potrà permettere campioni da ogni dove. Possiamo definirlo, per alcuni versi, ancora un rugby domestico.
Graditi, ma pur sempre ospiti, allo Stadio Olimpico. A quando un impianto tutto per la Nazionale?
È un sogno. Anzi un obiettivo. Si riparla molto di un nostro interesse per lo Stadio Flaminio, nuovo e sostenibile. Sul tavolo dei vertici dello sport nostrano, c'è una nostra richiesta ufficiale e protocollata di ristrutturare gli stadi di calcio in occasione dei prossimi Europei del 2032, in modo che si possa giocare anche a rugby. In fondo, servono solo 10 metri di più in lunghezza e pochi metri in larghezza. Con 5 stadi che possano rispondere alle nostre richieste, presenteremo ufficialmente la nostra candidatura per la Coppa del Mondo del 2035 o 2037. Abbiamo avuto già il placet dalla World Rugby. E non mi sembra di poco conto, visto che dall'anno della nascita della manifestazione, lontano 1987, non l'abbiamo mai ospitata.
Nella sua professione di medico otorinolaringoiatra, quanto l'ha aiutata la cultura da giocatore di rugby?
Moltissimo. Tutti i giorni mi porto con me l'etica della palla ovale. Con i miei assistenti, i collaboratori ed i pazienti lavoro come se fossimo una squadra, un team dove ognuno deve dare il suo per ottenere il risultato migliore. Vincere nel mio settore ha sicuramente un valore diverso, perché quando sei in campo, operi un essere umano e le responsabilità sono maggiori. Ma alla fine quando vedi, in sala operatoria, che hai svolto al meglio il tuo intervento, è come fare meta...