STRANIERI AFFASCINATI DALLA SERIE C TRA LUCI E OMBRE

di Marcel Vulpis

Otto su 60. E’ il numero di club di Lega Pro saldamente controllati da proprietà straniere (nello specifico: Triestina, Padova, Cesena, SPAL, Atalanta U23, Ancona, Picerno e Catania). 

Un numero sicuramente importante, è giusto sottolinearlo, perché il campionato di Serie C è tre volte più vasto o articolato rispetto sia alla Serie A che alla B. Non è casuale che questi investimenti oltreconfine (sei su otto sono di matrice anglosassone, con la bandiera americana a dominare in questa specifica classifica) siano concentrati al 70% al Nord, lasciando all’Italia centrale e al Sud posizioni chiaramente residuali. 

La motivazione principale è nella poca fiducia (e lo sottolineo con amarezza) nei territori del Mezzogiorno. Più si scende verso il tacco dello stivale più gli investitori stranieri (come spesso mi hanno confermato anche personalmente) preferiscono abbandonare la sfida, a meno che non ci sia un rapporto molto stretto con quel territorio (vedi il caso del Picerno calcio) o potenziali opportunità di business per l’ecosistema economico della piazza selezionata (Ancona). Unica grande eccezione a questa regola è il Catania del magnate australiano, di origini siciliane, Rosario “Ross” Pelligra (molto forte nel settore immobiliare), che ci ha visto bene sin dall’inizio intuendo le potenzialità del brand etneo (soprattutto in chiave professionistica). Non a caso, già in Serie D, ha fatto registrare numeri record allo stadio ed è stato uno dei pochi in grado di far fruttare i diritti audiovisivi. Per il resto, anche in presenza di piazze “calde”, gli investitori stranieri preferiscono volgere lo sguardo al Nord. Anche perché la situazione dell’impiantistica è nettamente migliore rispetto al resto dell’Italia. 

Acquistare un club di Lega Pro può diventare una opportunità interessante per un nuovo proprietario straniero, ma l’obiettivo finale è salire velocemente ai piani alti del calcio italiano. Se consideriamo le tre leghe professionistiche, la “piramide” dei ricavi da diritti audiovisivi è nettamente capovolta oltre che sbilanciata. Sia in A, sia in B, infatti, si può provare a costruire dei progetti sportivi di buona qualità già partendo dalla “torta” dei diritti tv (i club che arrivano dalla B confermeranno questa tesi, chiaramente quelli che non hanno scelto la strada del “gigantismo”), meglio ancora se si ha la bravura di entrare nel salotto buono del nostro calcio. 

Purtroppo il budget diritti tv della Lega Pro non solo non è assolutamente assimilabile a quanto generato, in questi ultimi anni, dal presidente Mauro Balata (il dirigente sportivo di origini sarde ha guidato, in prima persona, la strategia commerciale, rinunciando, tra l’altro, a torto o a ragione, anche alla figura del direttore generale) nella sua lega di riferimento. 

In B i club possono programmare i propri progetti grazie anche a questa voce di entrate; in Lega Pro ciò non è possibile e quindi l’acquisizione di un club può essere una ottima opportunità sempre che la promozione in B si verifichi in un numero contenuto di anni. Altrimenti le spese rischiano di generare perdite importanti. I ricavi infatti non sono elevatissimi. La biglietteria non sempre si presenta come una voce strategica, quindi restano solo le sponsorizzazioni, ma, anche in questo caso, dipende dalla ricchezza del territorio dove si opera. Motivo per cui assistiamo, ogni anno, a molti club che passano di proprietà (secondo alcuni addetti ai lavori la media sarebbe non superiore ai tre anni di vita/proprietà), perché non resistono all’impatto devastante dei costi del calcio professionistico. Anche i club provenienti dalla cadetteria soffrono molto soprattutto dopo il primo anno, quando, il “paracadute” previsto per le squadre retrocesse in C, si sgonfia inevitabilmente. 

Tornando alle proprietà straniere può essere interessante acquistare un club di 3a divisione, perché i prezzi di accesso sono iper convenienti, ma un minuto dopo i costi gestionali assorbono i benefici. In sintesi una partita (anzi una scommessa imprenditoriale) che può risultate esaltante (se si sale velocemente di categoria), ma anche molto difficile (in caso di permanenza per molti anni).