Fai canestro con la testa
Il Mental Coaching nello sport, e in particolare nel basket, è sempre più diffuso nonostante ancora un po’ di diffidenza e di leggende metropolitane che andiamo a sfatare.
Quando si parla dell’importanza del mental coaching nello sport si fa sempre riferimento a delle grandi imprese o ai grandi campioni.
Mi piace, invece, partire da un evento ed una data che, per gli appassionati di basket segna una grande sconfitta: il 9 luglio 2016.
In quel caldo sabato l’Italia perde contro la Croazia al pre-olimpico di Torino salutando così definitivamente le Olimpiadi di Rio. Leggendo giornali, siti e social, la delusione di tutto il movimento si concentrava su pochi aspetti “la Croazia è stata più forte mentalmente” oppure “momenti importanti facciamo scelte sbagliate” infine “non c’è un vero leader”.
Tra questi anche il commento di una persona che a Roma amiamo tutti, il “vate” Valerio Bianchini che sui suoi profili social “ciò che ha pesato di più nella finale è stata l’enorme differenza di condizione psicologica tra le due squadre”.
Addirittura, molti commentatori e addetti ai lavori avevano posto l’accento sull’aspetto mentale già prima della partita, un errore molto grave, perché va a creare una presupposizione negativa ai giocatori: io sono meno forte mentalmente del mio avversario e quindi parto svantaggiato.
La parte positiva è che alcune capacità sono allenabili, non sono innate.
Concretamente quindi, cosa si fa per allenare mentalmente gli atleti a prendere l’ultimo tiro decisivo? O a essere concentrati sul punteggio (ricordate JR Smith di Cleveland nella finale NBA…)? O a essere nello stato giusto per non reagire al trash talking?
La parte negativa è che facciamo molto poco, in campo e fuori, per allenarle.
Dopo quel dannato pre-olimpico, ho girato l’Italia facendo dei workshop con gli staff tecnici di società e squadre in varie categorie.
Una domanda che ponevo, e pongo tutt’ora è: “Tra tecnica, tattica, preparazione fisica e allenamento mentale, come dividete in percentuale la preparazione?”
“Il 10%” oppure “il 50%” oppure “il 90%”.
Lo svelo: è una domanda a trabocchetto. Perché non c’è una risposta giusta, anzi una ci potrebbe essere: indipendentemente se è l’1% o il 90%, la parte mentale è quella che abilita tutto il resto.
E qui rispondiamo ad una prima leggenda metropolitana.
“Nello sport si vince soprattutto con la testa”. Non è vero.
Come Mental Coach dovrei solo che approvare questa affermazione, ma sarebbe incompleta.
“Nello sport si vince soprattutto con la testa, a parità di condizioni”.
Se due squadre, ad esempio, sono molto vicine per capacità tecniche, tattiche ed atletiche, è molto possibile che la differenza la farà la testa.
Se una giocatrice o un giocatore allena tutte le abilità fisiche e tecniche, è molto probabile che la differenza la farà la testa.
E qui si aggancia una seconda credenza.
“Ah ma noi alleniamo molto la testa, con gare di tiro a tempo, simulazioni di situazioni in campo”.
No, mi spiace. Sarebbe anche facile così.
L’allenamento mentale non riguarda il “condizionamento” integrato negli esercizi in campo.
Parliamo di tecniche e metodologie specifiche che in molti casi riguardano le nostre capacità generali: un ragazzo che è agitato per una partita, è probabile che lo sarà anche per un esame a scuola.
E questo ci porta direttamente a chiarire chi è e cosa fa un Mental Coach.
Un Mental Coach è un professionista che ha studiato ed ha fatto un tirocinio per acquisire le conoscenze sul comportamento umano e sulle cosiddette tecniche del cambiamento.
È una figura che si innesta all’interno dello staff tecnico e lavora insieme agli allenatori, al preparatore atletico e ai dirigenti. E proprio nel rispetto dei ruoli, soprattutto nel basket, ci chiamiamo Mental Coach, riservando all’allenatore il termine Coach.
Il Mental Coach viene spesso identificato come il grande motivatore modello Al Pacino in “Ogni maledetta domenica” o, soprattutto nel basket, a Coach Carter.
La motivazione è un elemento imprescindibile del nostro lavoro, e soprattutto dell’essere umano, ma il campo d’azione del Coaching è molto più ampio.
Lavoriamo con le società per fissare degli obiettivi credibili, con le squadre per creare un clima di fiducia, con gli allenatori per migliorare l’efficacia della comunicazione, con gli atleti per sviluppare le loro abilità e con i genitori su vari aspetti.
“Per come se ne parla, il Mental Coach è una figura che si possono permettere solo i professionisti o le società di Serie A”. No, anzi.
Ho voluto aprire l’orizzonte del Coaching oltre alla motivazione proprio per chiarire che un’attività di Coaching si può fare in qualsiasi società, proprio per la differenziazione del tipo di intervento e dei destinatari.
E proprio in ricordo di quel 9 luglio 2016, più si inizia in età giovanile a creare delle routine di allenamento mentale, più si avrà la possibilità di avere giocatori maturi da tutti i punti di vista.
Sia se sei un allenatore, un dirigente o un atleta, voglio darti un primo suggerimento: abituati a fare questa domanda “Cosa stavi pensando mentre...?”
Un allenatore prende una decisione sbagliata? “Cosa stavi pensando mentre hai fatto quel cambio”?
Una giocatrice gioca una partita incredibile? “Che pensieri hai avuto in campo?”
Un giocatore ha avuto una reazione incomprensibile? “A cosa stavi pensando in quel momento?”
Scoprirai un mondo nella testa delle persone che ti darà una chiave di lettura diversa.
Chi è Giammarco D’Orazio
Ex giocatore ed ex allenatore, è Mental Coach con Certificazione Internazionale e una specializzazione in Sport Coaching.
È un esperto della metodologia LAB Profile® per la profilazione comportamentale.
Supporta società, atleti e genitori in diversi sport
Libri suggeriti
Il Gioco Interiore del Tennis- Tim Gallwey
Basket & Zen – Phil Jackson
Open – Andre Agassi
Leadership Emotiva – Daniel Goleman