“VOGLIAMO DIVENTARE LA MIGLIORE ITALIA DELLA STORIA”
Mentre l’edizione settembrina di Sport Club viene data in pasto alle rotative, pronta a far bella mostra di sé nei circoli sportivi della Capitale, gli Azzurri del rugby stanno salendo a bordo del volo che dall’Inghilterra – reduci dall’ultima amichevole estiva contro l’Inghilterra – li porterà in Giappone per la Rugby World Cup 2019, il mondiale inaugurato nel 1987 e che celebra quest’anno la propria nona incarnazione.
E’ l’apice e la conclusione di un cammino inaugurato nel marzo di tre anni fa, con l’approdo sulla panchina azzurra di Conor O’Shea, il manager irlandese che nei suoi mille giorni al timone di Azzurra ha cercato di traghettare il movimento italiano lontano dalle tempeste, nei mari più sicuri del vertice internazionale.
Se vi sia riuscito o meno lo sapremo alla fine di ottobre, conclusa la prima fase che ha portato in dote a Parisse e compagni il girone probabilmente più duro di tutti i tempi per chi, come l’Italrugby, ha sempre meritato la qualificazione ai Mondiali ma non ha mai superato lo scoglio del primo turno: i Campioni del Mondo in carica degli All Blacks ed il Sudafrica due volte iridato sono, nemmeno a dirlo, le favorite per il passaggio alle fasi finali; Namibia e Canada, che con l’Italia completano la pool, sono per contro inevitbilmente destinate a recitare da comprimarie.
Nel mezzo, appunto, l’Italia che sogna e lavora per centrare tre vittorie nel girone ed il passaggio a quei quarti di finale mai raggiunti prima. Il calendario offre, in sequenza e nell’arco di pochi giorni, la Namibia (Osaka, 22 settembre) e il Canada (Fukuoka, 26 settembre). Poco recupero, ma il divario con namibiani e nordamericani è tale da non preoccupare: vincere entrambe le partite, evitare infortuni e sfruttare poi la settimana lunga che porta al 4 di ottobre, alla sfida di Shizuoka contro il Sudafrica che sarà spartiacque del mondiale italiano.
Ripetere l’impresa del novembre 2016 a Firenze, quando sovvertendo ogni pronostico della vigilia l’Italrugby superò per 20-18 gli Springoboks al “Franchi”, varrebbe con ogni probabilità l’accesso ai quarti: più difficile pensare di conquistare la qualificazione otto giorni dopo, a Toyota, contro gli All Blacks campioni in carica e leader del ranking internazionale, una delle tre squadre – con Inghilterra e Australia – mai battute in passato dalla nostra Nazionale.
“Vogliamo diventare la migliore Italia della storia” è il mantra che Conor O’Shea ha ripetuto, con la coerenza tipica dei grandi manager, dal giorno del suo insediamento. Un concetto andato via via consolidandosi da un anno a questa parte, via via che il Mondiale giapponese è andato avvicinandosi, e che non ha vacillato o è venuto meno nei momenti più difficili della gestione del coach venuto da Limerick.
Che, in queste stagioni, oltre alla vittoria sul Sudafrica – indimenticabile, per quanto solitaria – ha fatto, per il rugby italiano, molto più di quanto dicano i risultati: ha contribuito in modo chiave ad alimentare il rapporto tra la FIR e le sue due franchigie professionistiche, Zebre e Benetton; ha dato speranza a un intero movimento; ha, insieme ai propri collaboratori, alzato sensibilmente il livello di fitness degli atleti “pro” italiani. Assumendosi, al tempo stesso, la piena responsabilità per le sconfitte che hanno costellato il cammino della Nazionale, senza mai perdere la fiducia e la voglia di lasciare il segno – proprio, ma ancor più dei propri giocatori – su questo quadriennio e sul Mondiale che sta per iniziare.
Un Mondiale che, quale sia l’esito della pool, segnerà un giro di boa difficile da dimenticare, celebrando l’inevitabile addio alla scena internazionale di tre monumenti del rugby azzurro di questo primo scampolo di terzo millennio: per capitan Parisse, Leonardo Ghiraldini e Alessandro Zanni, a cui spetta di diritto lo stato di leggende del rugby italiano, sta per calare il sipario dopo oltre trecentocinquanta apparizioni complessive con la maglia dell’Italia.
Comunque vada a Shizuoka, oggi c’è una generazione di giovani pronta a raccogliere il loro testimone.