Un mondo plastic free. Anche nello sport?
di Flavio Federici
Secondo voi, che cosa accomuna uno smartphone, un utensile per la cucina ed il paraurti di un’automobile? I materiali plastici sono senza dubbio una delle scoperte che hanno cambiato di più la nostra vita quotidiana. La famosa “plastica” è ormai presente ovunque, in ogni forma e dimensione, proprio grazie alla capacità di adattarla ed utilizzarla per ogni nostra necessità. Com’è fatto un materiale plastico “tradizionale”? Esso è caratterizzato dalla presenza di unità fondamentali, detti monomeri, che ripetendosi e legandosi fra loro formano una catena, detta polimero. Ogni plastica si differenzia in base alla lunghezza delle catene che lo compongono e dal tipo di monomero utilizzato.
Durabilità e flessibilità, i principali punti di forza di questo materiale, nel tempo si sono rivelate armi a doppio taglio. L’uso spropositato di oggetti ed utensili “usa e getta” ed il mancato riciclo di questi, ha provocato, nel corso degli anni, un progressivo accumulo di plastiche nei territori in cui viviamo, dai mari ai sottosuoli, facendo scattare l’emergenza ambientale che tutt’oggi ci troviamo ad affrontare. A partire dal 2021, il parlamento europeo ha vietato la commercializzazione di alcuni prodotti come posate e piatti monouso, al fine di limitarne la dispersione. Tutto ciò ha spinto studiosi e tecnici del settore a cercare un’alternativa valida ed economicamente sostenibile sia per le aziende produttrici, ma anche per i consumatori, su cui graverebbe maggiormente l’aumento dei costi di produzione. Da questo punto di vista, i biopolimeri sviluppati hanno il grande vantaggio di poter essere ricavati a partire da materiali di scarto, a costo nullo, abbattendo così la quantità di rifiuti prodotti. In un contesto del genere si colloca l’acido polilattico (PLA), uno dei polimeri più studiati in questo periodo. Grazie alla facilità di biodegradazione (proprietà particolarmente apprezzata nel campo degli imballaggi a breve termine) e la biocompatibilità con i tessuti viventi (cosa che lo rende adatto nelle applicazioni biomediche, come impianti, suture e rivestimenti per il rilascio controllato di farmaci) il PLA è il polimero più promettente ed è sempre più oggetto di studi e ricerche. La maggior parte dell’acido lattico prodotto a livello industriale è ottenuto grazie alla fermentazione batterica dei carboidrati (soprattutto glucosio ma anche maltosio, lattosio e saccarosio) ottenuti da materie prime come mais, patate, canna da zucchero e barbabietole ma anche da materie prime secondarie come alcuni tipi di scarti alimentari.
Un settore dove i biopolimeri sono riusciti a ritagliarsi un ruolo di primo piano è senza dubbio quello dello sport. Dalle scarpe da scorsa alle attrezzature di protezione, passando per le esche sintetiche, i materiali plastici hanno sempre dato il loro contributo, ora più che mai in maniera sostenibile grazie ad aziende che hanno sviluppato tecnologie economicamente competitive. In particolare, la famiglia dei termoplastici biodegradabili si distingue nel mercato delle bioplastiche per le caratteristiche fisico-meccaniche, interessando proprietà come flessibilità e morbidezza che li rendono idonei ad applicazioni come pinne da sub.
Molti altri polimeri sono potenziali candidati per varie applicazioni e per questo sono soggetti a varie sperimentazioni, sempre in ottica di contenimento dei costi ma soprattutto della salvaguardia ambientale.