Gianmarco Tamberi - Secondo tentativo
Dopo il lungo infortunio che l'ha estromesso dai Giochi Olimpici di Rio, l'azzurro delle Fiamme Gialle è tornato ai suo livelli: ha appena vinto l'Europeo indoor e punta decisamente a Tokyo 2020. Chi è oggi Gianmarco Tamberi? Un campione che adora le sue Marche, avrebbe preferito eccellere nel basket, e confida nel pubblico per saltare più in alto.
Ciò che è successo a Gianmarco Tamberi è l'incubo di ogni atleta olimpionico: emergere, eccellere, prepararsi alla prima olimpiade, e infortunarsi a 20 giorni dalla partenza per quella gara che lo attendeva tra i protagonisti. E poi la prospettiva di altri quattro anni di allenamenti, viaggi, gare, sacrifici e, nel suo caso, una lunga riabilitazione. Tamberi, tre anni fa, prima dell'infortunio aveva da poco portato il primato italiano del salto in alto a 2,39m; era “Gimbo”; “Halfshave” per il vezzo di radersi solo metà dalla faccia. Aveva 24 anni; un carattere spavaldo e allegro e, soprattutto, aveva appena vinto la medaglia d'oro sia ai mondiali indoor sia agli europei indoor. Insomma un predestinato. Chi è Tamberi oggi, dopo un altro titolo indoor europeo vinto un mese fa in Scozia? Che cosa gli ha tolto (o gli ha aggiunto) quel passo troppo lungo sulla pista di Montecarlo che, causando la lesione al legamento della caviglia, ha deviato la sua strada verso Rio?
Cominciamo con la filosofia: c'è bellezza del gesto nel salto in alto?
È un gesto molto particolare, che si ripete molto simile nel tempo. La parte iniziale è un po' la “prefazione” del salto, quando, in gara soprattutto, si cerca l'energia del pubblico: quella carica che solo uno stadio pieno può darti. Spesso mi chiedono: “Quanto salti in allenamento? Sei riuscito a fare 2,45m o il record del mondo?” Assolutamente no. In allenamento salto almeno 10, 15, anche 20 cm in meno della gara. Io, in particolare, sono un agonista: ho bisogno della competizione, degli avversari, del pubblico, dell'energia della gente. Per esempio quest'anno, ai Campionati Europei, ho fatto 2.32; cinque giorni prima, nell'ultima tecnica precedente all'Europeo, avevo saltato 2,15m.
A proposito del gesto tecnico: lo stacco, il volo, l'inarcata. Sono gesti da pilota di Formula Uno che sta attento a tutti i particolari, o è più una questione d’impeto?
Da quando inizio la rincorsa, dal primo passo, fino allo stacco è qualcosa di veramente ricercatissimo in ogni minimo particolare. Ci sono delle inclinazioni, delle distanze e delle velocità precise. La traiettoria è sempre praticamente identica. Su undici passi di corsa si può sbagliare di 20 centimetri. I particolari fanno veramente la differenza. Dallo stacco in poi penso poco, perché la fase sopra l'asticella mi riesce abbastanza automaticamente. È ovvio che non lascio tutto al caso, però mi rendo conto automaticamente quando deve fare l'arco, quando devo chiuderlo e sganciare le gambe. Molta fa la concentrazione, soprattutto per ciò che si fa a terra; perché poi, in aria, non abbiamo più la possibilità di cambiare la direzione del corpo.
Invece, il piacere che ti da il basket immagino sia esattamente il contrario: lasciare libero il talento.
Esatto. Il piacere del basket è dar libero sfogo all'estro e alla creatività della mente. In uno sport come il mio le cose sono molto meccaniche; nella pallacanestro invece è tutto diverso: creativo. Soprattutto per quanto riguarda il "mio" giocare a pallacanestro, che è uno svago.
In un tuo bel post su Facebook scrivi che giocare a basket è anche il piacere di avere una squadra con cui condividere le emozioni. Di solito si pensa il contrario: che i campioni di sport di squadra amerebbero praticare discipline individuali per avere tutta la gloria. Per te è l'esatto contrario, o mi sbaglio?
Io credo che non esista niente di più bello del condividere una vittoria con chi si ha di fianco, e che sta provando le tue stesse emozioni. È uno dei motivi per cui io mi sento davvero tanto unito al pubblico quando gareggio: cerco di coinvolgere il più possibile chi ho intorno perché poi, quando le cose belle succedono, anche loro si sentono protagonisti di qualcosa fatto insieme. Quando si condivide una vittoria, si condivide una gioia che viene moltiplicata all'ennesima potenza. Nella pallacanestro, quando si vince una partita con l'ultimo tiro allo scadere, tutta la squadra prova la stessa emozione, non solo colui che ha messo il tiro. Invece nel salto in alto, come nel tennis, nel golf e in altri sport individuali, è una felicità interna. Ovviamente i familiari, gli amici, l'allenatore sono molto felici per te, ma non possono provare in quel momento ciò che stai provando tu.
Hai avuto momenti difficili in questi ultimi due anni: un infortunio, e anche alti e bassi nel rapporto col tuo padre/allenatore di cui hai poi scritto belle cose. Queste difficoltà hanno cambiato la giovane promessa che eri? Le esperienze ti hanno maturato, cambiato, hanno dato qualcosa di più, di meno o di diverso alla tua prestazione atletica?
Moltissimo. Fanno parte di una maturazione. L'infortunio, le difficoltà con mio padre: se non ci fossero stati oggi non avrei l'esperienza che ho. Il mio è stato un infortunio molto, molto grave; ma la cosa più difficile è stata affrontarlo, perché è avvenuto venti giorni prima delle olimpiadi, che sono il sogno di ogni atleta. Tutti noi troviamo ostacoli, la differenza è come li affrontiamo, perché non possiamo avere tutto sotto controllo. Ciò che possiamo controllare è la nostra reazione ai problemi. Queste reazioni ci formano, ci educano da lì in avanti; ci regalano l'esperienza per sapere come affrontare altri problemi che si presenteranno in futuro. Mi rendo conto che ora approccio e affronto gli infortuni in maniera completamente diversa: con molta più freddezza, consapevolezza e razionalità; mentre prima mi facevo prendere dalle emozioni e dallo sconforto.
Hai un bel rapporto con le Marche: con Civitanova dove sei nato, e Ancona dove ti alleni. Non hai mai pensato, o avuto l'opportunità, di trasferirti in centri più grandi, con atleti e squadre diverse?
Ad Ancona, nelle Marche, ho trovato veramente il mio equilibrio perfetto. Adoro la mia regione, perché regala tantissimo. Chi l'ha visitata sa quanto è bella. Ho trovato l'equilibrio con mio padre, i miei amici, la mia fidanzata. Non ho rinunciato a partire per paura di trovare qualcosa di diverso. Semplicemente mi rendo conto di aver qui tutto ciò che mi serve per essere tranquillo, sereno e affrontare lo sport come va affrontato. Si pensa che lo sport sia solo allenamento, ma in realtà l'allenamento è il 30% della prestazione di un atleta. La differenza la fa tutto il resto: la serenità di una persona, come affronta la vita, come riesce a trovare un equilibrio fuori dallo sport, per non stancarsi e non vivere con stress altre situazioni. Parliamoci chiaramente: tutti si allenano, chi salta 2,35m come chi salta 1,80m. La differenza sta nella metodologia dell'allenamento e in ciò che viene fuori dopo l'allenamento.
Come atleta, non come campione o alfiere azzurro, hai l'obiettivo di una misura precisa nella tua carriera? Hai mai pensato “Voglio arrivare a quella misura”?
Sono una persona che difficilmente si accontenta. Durante la carriera, soprattutto quand'ero più giovane, mi è successo di migliorare con facilità. Ad esempio, a vent'anni, in un'annata la mia miglior prestazione è passata da 2,14m a 2,25m. In quegli anni ogni gara che facevo era migliore della miglior gara dell'anno precedente. La mia ambizione era migliorarmi, sempre. Questa cosa me la porto dietro anche adesso: qualsiasi misura non mi accontenta e voglio andare oltre. Quindi dire “Voglio arrivare lì e sarò contento” è un po' un'assurdità, per il mio modo di affrontare lo sport. Non credo esista un punto in cui mi accontenterò. Se però parliamo di gare e successi, vincere un'olimpiade è sicuramente qualcosa che rende soddisfatti al 100%.
Ho letto che ami la tecnologia. Ti piacerebbe che entrasse nel tuo sport? Ad esempio con un'asticella laser al posto di quella di legno?
Sarebbe qualcosa di particolare. Cambiare uno sport e snaturarlo in quel modo forse è una cosa impossibile. Però si potrebbe fare qualche tentativo, così per gioco, per vedere magari quanto potrebbe essere il proprio vero massimale di salto. Come puoi immaginare nel salto in alto è difficile stabilire veramente quant'è il massimo che puoi saltare; con un laser lo potresti fare. Noi usiamo tantissima tecnologia per la valutazione degli allenamenti e la rifinitura. Quando salto ho cinque telecamere che mi riprendono da angolazioni diverse: per vedere la traiettoria perfetta del salto; come si comporta il corpo nella parte destra e sinistra, dall'alto, e che tipo di percorso segue. E abbiamo un feedback in tempo reale: questi cinque video vengono mandati automaticamente ad un computer che li proietta in un televisore subito dopo il salto per essere analizzati. Quindi la tecnologia è molto importante per noi, perché l'analisi del video del salto è fondamentale.
Come tanti di noi ami viaggiare. Ti piace il Giappone? Un viaggio ce lo faresti?
Adoro viaggiare. Il Giappone è una realtà che mi stimola molto. In realtà conosco pochissimi giapponesi. Uno di questi è un saltatore in alto che, in questo momento tra l'altro, è anche molto forte. Vedo tutti i giapponesi un po' come lui: una persona molto cordiale, gentilissima, educatissima, e immagino questo mondo in cui tutto è precisione ed educazione. Quindi sono molto curioso di andarci, e soprattutto anche di mangiare un po' di sushi e sashimi come si deve. Comunque speriamo che il viaggio si faccia prima per “altri” motivi. Poi, in futuro, ci tornerò anche in vacanza.