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Tutte le evoluzioni dello Stadio Olimpico

La storia dell’impianto romano comincia nel 1932 con lo Stadio dei Cipressi. È la prima “versione” di quello che diventerà Olimpico per i Giochi del 1960. Una storia lunga ottantacinque anni…
“Olimpico come i cinque cerchi. Come l’universalità da abbracciare grazie allo sport, sublimando l’idea che fa da architrave al movimento. Olimpico come uno stadio che è un tuffo al cuore senza età, una dolce carezza all’anima di chi vive nel nostro mondo, la fanciullezza che non ci abbandona, perché ogni volta è come fosse la prima. È la casa dei sogni che non tramontano. Quelli che vivono per sempre nel cuore e rievocano emozioni mai sopite. Un passato da cullare nei ricordi, che affonda le radici nella storia, scrivendola a caratteri indelebili”: così scrive Giovanni Malagò, presidente del CONI nella prefazione del libro dedicato alla storia dello Stadio Olimpico.
Trecento pagine, 16 capitoli che ricostruiscono la storia dell’impiantistica capitolina dai primi ‘900 al futuro che si chiama stadi di proprietà. E alla fine di ogni capitolo interviste a progettisti, giornalisti celebri, campioni di ogni sport, dal calcio all’atletica, dal rugby al paracadutismo (grazie a loro, lo scatto di copertina di un bellissimo Olimpico dall’alto), attori che hanno girato tra quei marmi e cantanti che vi hanno cantato. Il libro “Il nostro teatro dei sogni” - casa editrice Ultra Sport - è a firma di Fabio Argentini, già autore del volume “Foro Italico tra passato, presente e futuro” e Luigi Panella, giornalista e scrittore innamorato della storia dello sport.
Ci spiega l’evoluzione dell’Olimpico - passato per 4 versioni - uno degli autori, Fabio Argentini.
Come ha origine il titolo del libro?
«Il teatro dei sogni. È una formula magica, appena la pronunci nella mente prendono forma l’Old Trafford con i grandi numeri sette della storia del Manchester United. Il copyright è di una icona del calcio inglese, Sir Bobby Charlton. Noi, nello scrivere dello Stadio Olimpico di Roma, abbiamo però pensato che la definizione non potesse essere esclusiva. Il nostro Stadio Olimpico è stato teatro di sogni, depositario fidato di passioni del popolo».
Quando nasce l’Olimpico? Che all’inizio aveva peraltro un nome diverso…
«Nasce quattro anni dopo l’inizio dei lavori del Foro. Ma, del nome “Olimpico” all’inizio non ve n’era traccia. Si chiamava “Stadio dei Cipressi” perché intorno erano stati piantati centinaia di alberi a fare da perimetro tra lo spazio sportivo e le colline di Macchia Madama da una parte e il Tevere dall’altra. Ne saranno piantati 1.410 in tutta l’area del Foro. All’inizio, a dire il vero, di uno stadio vero e proprio non c’erano neanche le tribune: rispettando la cornice paesaggistica, lo stadio (un invaso con terrazze erbose) venne dunque appoggiato alla collina. Un campo – buono per le attività scolastiche e giovanili – e tribune d’erba intorno. Tutto qui. Così inizia la storia, mentre sulle carte da lucido degli architetti già era scritto il futuro».
Dallo Stadio dei Cipressi allo Stadio “Olimpionico”…
«In luogo delle terrazze erbose, è il 1937, viene edificato un primo anello in marmo, quello che, in parte, oggi si ritrova nella sola Tribuna Tevere, nel parterre. La forma è ovoidale, schiacciata ed estremamente allungata. Il suo nome è “Stadio Olimpionico” che già svela la vocazione polisportiva. Infatti, la sua caratteristica principale è quella di essere, contemporaneamente, uno stadio destinato sì al calcio, ma anche all’atletica e al rugby. Sotto la tribuna principale, è prevista una pedana multipla destinata al salto in lungo, al salto triplo e a quello con l’asta. Alle estremità del prato i due ingegneri concepiscono la realizzazione di altre quattro pedane destinate al salto in alto e allo svolgimento del lancio del peso, del martello, del disco e per il lancio del giavellotto».
L’Olimpionico divenne per un giorno lo “stadio di paglia”.
«L’arrivo di Adolf Hitler a Roma, per una visita che fece da sfondo anche alla storia di amore tra Antonietta e Gabriele, ossia la Loren e Mastroianni nel film “Una giornata particolare”, mette a dura prova l’italica capacità costruttiva (e inventiva). Mancando il tempo per rendere più imponente lo stadio dove si sarebbe dovuto tenere un saggio ginnico, si ricorse pertanto a uno stratagemma: la tamponatura esterna dello stadio (con spalti di altezza uniforme) e le 24 torri sormontate dalle aquile littorie non furono costruite in muratura o cemento, bensì in pannelli di carpilite (ossia “pietra di Carpi”), materiale brevettato dall’ingegnere Gino Carpi e composto da cemento e paglia pressata, usato – tra l’altro – per le casette Pater delle borgate di San Basilio e Acilia. E per completare le gradinate si utilizzarono tavole di legno verniciate, come per l’inaugurazione del Panatenaico di Atene nel 1896. Le immagini accelerate dell’Istituto Luce mostrano l’evento al Foro. Uno “stadio di paglia” aveva ammaliato il Führer».
Ed ecco l’Olimpico pronto per l’Olimpiade del 1960.
«Si entra nella Dolce vita e a Roma viene data l’organizzazione dell’Olimpiade del 1960. Dopo le ristrettezze della guerra, le tessere annonarie, i coprifuoco, gli allarmi e i rifugi, all’Urbe si spalanca un’altra finestra sul mondo. L’Italia, saprà cogliere l’occasione mostrando una straordinaria capacità di organizzazione: ancor oggi quella XVII edizione, è unanimemente considerata la più bella di sempre. All’anello in marmo di Carrara dello Stadio Olimpionico vengono aggiunti altri anelli in travertino della vicina Tivoli, cava dove attingevano gli antichi romani per i propri monumenti. Il nuovo stadio, preparato per l’Olimpiade del 1960 prende il nome di Olimpico
Il 17 maggio del 1953, sette anni prima dell’Olimpiade (e questo già la dice lunga rispetto alla voglia di fare e di stupire. Ancor più guardando ai cantieri dei giorni nostri…) viene inaugurato, con l’amichevole dell’Italia contro la grande Ungheria di Puskas.
L’Olimpico si erge bianco e imponente su un terreno di 90.000 metri quadri e ne copre 33.500. L’anello selezionatore esterno ha una lunghezza di 1.200 metri. Le gradinate hanno uno sviluppo complessivo di circa 30 chilometri e sono larghe 0,80 metri e alte 0,40 di media, intervallate da ampi corridoi, così che ne risulta una veduta molto comoda e ottime condizioni di visibilità. Il perimetro dello stadio misura 800 metri, gli assi 319 e 186 metri, il campo di calcio 105x70 metri, circondato da una pista a sei corsie, separata dal pubblico da un fossato lungo più di 500 metri e largo 2.
Il terreno di gioco si trova 4,50 metri sotto il piano stradale, così l’altezza massima fuori terra degli spalti è di soli 13 metri e si mimetizza tra le alberature. Nelle gradinate con sedili continui in legno si aprono 59 vomitori e il tempo di svuotamento dello stadio è di 11 minuti. Un mostro in termini di sicurezza».
E, per ultimo, lo Stadio rinnovato per i Mondiali 1990.
«Le curve e la Monte Mario sono totalmente ricostruite con lo scopo di avvicinarle al campo. La capienza dell’impianto è portata nuovamente a 82.000 posti a sedere. Inaugurato il 31 maggio 1990, è il secondo stadio in Italia per numero di posti, dopo il Meazza di Milano, la Scala del calcio o, per i più nostalgici, il caro vecchio San Siro.
Uno stadio aggiornato agli standard Uefa deve essere ora dotato di copertura. Essa, con una superficie di 42.000 metri quadri, permette di riparare tutti i settori dello stadio.
La copertura, inevitabile per aggiornare lo stadio alle normative internazionali, crea polemiche. Ma, durante la cerimonia di apertura del Mondiale 1990 tutta l’attenzione si concentra sul campo, sfilano i modelli degli stilisti italiani e la canzone che fa da sottofondo richiama i sogni di una bella estate italiana».