LA RIVOLUZIONE CHE MIGLIORA LO STILE DI VITA
Dalle Smart Cities alle Sport Cities: il futuro dei centri urbani si gioca sull’utopia sempre più concreta delle reti di modalità anche a “due gambe”, sulla ricerca degli stili di vita sani anche dentro città congestionate dal traffico e dall’aria spesso irrespirabile.
di Marco Oddino
Fabio Pagliara è il Segretario Generale della Federazione Italiana
di Atletica Leggera e da qualche anno lavora a supporto
del Presidente Giomi e del Consiglio Federale per modernizzare
la macchina burocratica della Federazione e costruire
progetti innovativi che proiettino l’Atletica in uno scenario
nuovo e vincente. Oltre alle attività “sul campo”, in questi
anni si è fatta strada una concezione “open air” della pratica sportiva,
con le città trasformate in vere e proprie palestre a cielo aperto.
Ecco che cosa ha raccontato a Sport Club.
Dottor Pagliara, cosa c’entra con l’atletica il running “della domenica”
e la sempre più diffusa abitudine di utilizzare strade e
piazze per fare sport?
C’entra eccome. Ormai sono milioni i runner che non sono inquadrati,
ufficialmente, nel sistema atletica ma che dedicano ore settimanali
alla corsa sui lungomare, nei parchi, dentro o fuori i centri urbani. Il
fenomeno del running spontaneo non può essere liquidato da chi ha
responsabilità politiche come un fenomeno transitorio.
La crisi economica
ha contribuito ad espellere dai tradizionali circuiti di gestione
privata del tempo libero e dell’attività fisica molti italiani, che si sono
quasi subito riversati sulle strade, armati di scarpette e buona volontà,
per fare atletica, più o meno consapevolmente. E’ anche a loro che la
Federazione deve dare risposte, perché tutele sanitarie, spazi, percorsi
riservati o certificati, non possono che provenire da chi si occupa per
missione di questo, attraverso un rapporto virtuoso con le amministrazioni
pubbliche. Il “partito dei corridori” (secondo una ricerca Piepoli
commissionata da Fidal) rappresenta la maggioranza degli italiani,
visto che più di un italiano su due dichiara di correre all’aria aperta
almeno una volta al mese, mentre incrementando la frequenza a 2-3
volte la settimana la quota tocca comunque un significativo 17% degli
intervistati.
E le Città sono pronte? Possiamo affermare che da Oslo a Siracusa
chi voglia fare sport in città trovi le condizioni ideali?
Sarebbe utopistico, oltre che palesemente falso. Le Run Cities, come
le Sport Cities, sono un obiettivo da raggiungere, non una solida realtà,
presenti a macchia di leopardo nel contesto europeo e mondiale
e l’Italia, in questa particolare classifica, non è piazzata benissimo.
Le Nazioni del nord Europa sono avanti anni-luce e lo dimostrano i
dati statistici così come gli indici di vivibilità, sempre più legati alla
presenza di spazi per la pratica dell’attività sportiva. La Danimarca,
tanto per fare un esempio, investe risorse significative per la salute
e il benessere dei propri cittadini, ma non lo fa edificando Ospedali
o SPA, bensì creando ciclabili, aree attrezzate per lo sport, percorsi
running, aree natatorie pubbliche, piste da sci sugli inceneritori per
i rifiuti. Una maniacale ricerca del connubio sport-benessere che abbassa
i costi della spesa sanitaria, perché un cittadino sportivizzato
è un cittadino che si ammala di meno e che costa meno al sistema
pubblico della Sanità. Dalle nostre parti è complicato farlo entrare in
testa a chi ha il compito di prendere decisioni, ma non c’è dubbio
si tratti del futuro per le nostre Città. In fondo è anche una scelta
“democratica”: fare sport spendendo meno può trasformare l’attività
fisica in un fenomeno di massa. E’ un costo elevato, dall’altra parte,
per chi opera le scelte? No, i costi sono il problema minore. Pensi che
ormai è il privato, come sempre, che in alcune grandi Città sta anticipando
le tendenze. Le multinazionali, così come le aziende guidate da
manager illuminati, hanno compreso che gli indici di produttività dei
dipendenti crescono di pari passo con i loro sorrisi, con la loro buona
salute, fisica e psichica; ragione per la quale favoriscono la possibilità
di raggiungere il posto di lavoro in bici o di corsa, realizzano spogliatoi
e docce, nei casi più eclatanti mettono a disposizione dei lavoratori le
palestre aziendali. Accade a Londra, Parigi, la solita Copenaghen, e
qualche esperienza embrionale si vede anche a Milano, la più europea
fra le nostre municipalità. E’ una rivoluzione copernicana, capisce? Lo
stato di benessere di un cittadino-lavoratore non si misura più soltanto
nella dimensione della sua busta-paga, ma anche nel suo ‘portafogli
di felicità’. Lo dico come battuta molto spesso, ma ormai è un tema
ripreso da grandi sociologi a livello mondiale: stiamo passando dal
Prodotto Interno Lordo (il PIL) come misuratore del benessere, alla
Felicità Interna Lorda (la FIL). Bello, no?
Cosa ha fatto e cosa sta facendo la Federazione per assecondare
questa rivoluzione ed entrare nel mondo delle Sport Cities?
Nel frattempo non si corre il rischio di perdere di vista l’obiettivo
principale di sostegno all’attività agonistica?
Una cosa non esclude l’altra. Una Nazione che abbassi gli indici di
sedentarietà e renda lo sport accessibile a un numero sempre più
elevato di cittadini è una Nazione nella quale sarà più semplice vedere
sbocciare talenti. Il pluricitato Kenia, patria di imprendibili fondisti e
mezzofondisti, è una Nazione che corre, più per la necessità di colmare
distanze senza una rete adeguata di trasporto pubblico, che per una
gestione organizzata a livello politico dello sport. Questo significa che
non bastano scelte lungimiranti, ma ci vuole cultura dello sport e della
pratica dell’attività fisica, a partire dalla scuola e dalla famiglia, per
finire al quartiere della mia città. Noi abbiamo gettato un seme con la
creazione di Runcard, una carta di servizi per il running da affiancare
al tradizionale tesseramento delle Società, per intercettare proprio i
runner della domenica e immetterli, in maniera virtuosa, nel sistema;
ma anche per finanziare il Progetto Parchi, con il quale abbiamo realizzato
percorsi running e benessere in numerose Città italiane, dentro
i Parchi appunto, così come nelle strade, “griffando” circuiti di qualche
chilometro con il logo federale e di Runcard, misurandoli e certificandoli
per offrire un servizio agli atleti e alla Città stessa. Runcard è nata
anche per regolamentare il fenomeno delle corse su strada e riportarlo
entro un alveo di certezze riguardo alla tutela della salute, perché
correre fa bene, ma correre “male” può essere molto pericoloso. Sulle
Sport Cities stiamo investendo intelligenze e risorse umane, per fornire
supporto ai decisori politici e metterli nelle condizioni di operare
nella giusta direzione. Ci vuole tempo, ma ce la faremo.