Matteo Miceli

L ’Oceano nel cuore

di Elena Oddino

Se la passione per il mare è qualcosa che hai nelle vene, il sangue di Matteo Miceli deve essere salato. Romano, 48  anni, recordman mondiale di traversata atlantica con catamarano sportivo di 20 piedi senza assistenza, da Dakar a Guadalupe, nel 2004 - 2005, velista italiano dell’anno nel 2007, nel 2015 è partito per la “Roma Ocean World”, giro del mondo in solitaria, senza assistenza e senza scalo, a bordo della sua Eco 40, vela di 12 metri naufragata al largo del Brasile. Ma lui non si arrende e già rilancia: nel 2019 ritenterà il giro del mondo e proverà anche a battere il record di traversata atlantica. Perché Matteo è così, e andar per mare è più forte di tutto. Da piccolo ancora non camminava e già navigava a bordo di un Flying Junior. Poi i corsi di vela della Lega Navale a Ostia d’estate e sul Lago di Bracciano d’inverno. A 9 anni scopre il windsurf e ha in regalo la prima tavola, un Ten Cate di 18 chili, lungo più di 3 metri. La grande manualità lo porta a fare piccole riparazioni e via via a cimentarsi con le basi della costruzione nautica, dalle tavole da surf alle derive.  Poi Matteo compie i suoi primi passi nel lavoro come apprendista, poi dipendente, infine socio titolare dei Cantieri d’Este, a Fiumicino dove oltre a costruire, continua a sperimentare sempre nuovi materiali e tecniche. Nel 2005, con Andrea Gancia e “Biondina Nera”, un catamarano non abitabile di 20 piedi da lui costruito, compie la traversata atlantica registrando il record mondiale. Nel 2007 ci riprova e ottiene un nuovo record di traversata ma in solitaria: dalle Canarie alla Guadalupa in 14 giorni, 17 ore e 52 minuti. E oggi, mentre continua con successo la sua attività di scuola d’altura a bordo di un Class 40 a Riva di Traiano, per insegnare ai ragazzi tutti i trucchi della navigazione, fa progetti per il futuro. “Abbiamo acquistato il Tatanka, catamarano di 6 metri, da Nico e Vittorio Malingri vincitori nel 2017 del record di traversata atlantica con un tempo di 11 giorni, 1 ora e 9 minuti  e tra dicembre 2018 e gennaio 2019, finestra perfetta per sfruttare gli Alisei, partirò  con  il mio compagno Tullio Picciolini per tentare di abbassare ulteriormente quel record. Tram 3 mesi, poi, finalmente tornerà in acqua Eco 40. In tre anni dal naufragio, che ha posto fine al mio viaggio, abbiamo ricostruito i timoni, rifatto l’albero, la chiglia e spero proprio nel 2019 di ripartire per il giro del mondo”.
D - Lei ha raccontato la sua avventura in solitario finita male nel libro “Tre capi non bastano” (Il Cigno GG edizioni Roma). Cosa le resta di quell’esperienza?
R -  Tutto. E’ stata una grande emozione, ho imparato tanto. E sono pronto a riprovarci. E’ stato un viaggio non solo attraverso i mari, ma anche attraverso me stesso. Si tratta di circumnavigare il globo, percorrendo i tre oceani, Atlantico, Indiano, Pacifico, incrociando i tre capi dei velisti, Buona Speranza, Leewin e Horn, partendo e rientrando a Roma, per un totale di 30mila miglia, il tutto senza assistenza e senza scalo.
D - La sua Eco 40, che dopo i lavori tra poco tornerà in acqua, è una barca molto speciale…
R – Sì, è l’unica barca  ad impatto ambientale zero, in grado di navigare in completa autosufficienza energetica e alimentare, nel rispetto dell’ambiente grazie allo sfruttamento di energie alternative, pannelli fotovoltaici, generatori eolici e idroturbine. Può offrire importanti risultati alla ricerca. Appena reperiti gli sponsor necessari  nel 2019 ripartirò per il mio “green” tour oceanico e  forse porterò di nuovo con me le galline. La Bionda e La Mora che erano con me nel giro scorso mi hanno fatto tanta compagnia, era come avere un cane o un gatto, che in più mi davano anche le uova, importantissime per la mia alimentazione.
D-  La sua sfida intorno al mondo nel 2015 si è fermata al 146 esimo giorno di navigazione, a poche miglia dal traguardo per il distacco della chiglia. Cosa è successo?
R – Lo racconto nel libro. Era il 13 marzo 2015, a mezzogiorno sopra l’Equatore. Qualcosa non sta funzionando, la barca inizia a inclinarsi sempre di più, l’albero finisce in acqua, l’unica spiegazione è che si sia staccata la chiglia, l’acqua comincia a entrare con violenza all’interno della barca, l’oblò del pollaio è aperto. La barca continua a girarsi, devo mantenere la calma, la barca è ormai capovolta. Esco dall’oblò di poppa per aprire l’autogonfiabile, attivo la zattera e lancio i segnali di soccorso”.
D – Lei sarà recuperato 3 ore dopo da un cargo. La barca, data per dispersa perché invisibile ai sistemi satellitari, sarà avvistata dopo 2 mesi, incredibilmente ancora a galla, da un pescatore, e trainata a terra. Davvero lei non ha mai avuto paura nelle sue traversate?
R – No, non mi sono mai sentito a rischio di vita. Con le tecnologie attuali è impossibile perdersi in mare. La paura è utile come stimolo per avviare tutte le procedure di sicurezza nel modo giusto in caso di necessità. Bisogna conservare l’autocontrollo ed evitare il panico, ma se sai ciò che devi fare e se sei allenato all’imprevisto sai che verrai rintracciato. 
D – Come ci si prepara ad una traversata oceanica? 
R - Preparazione atletica e psicologica, tecniche di gestione della fatica, training per il controllo del sonno, studio minuzioso delle condizioni climatiche, capacità di adattamento, valutazione dei possibili imprevisti, alimentazione razionata, massima attenzione e costante assistenza da parte di un’equipe di tecnici e meteorologi. Sono questi gli ingredienti necessari ad un viaggio, che non è solo attraverso il mare, ma anche attraverso se stessi.
D- Che cosa insegna il mare? 
R – Che non puoi essere tu il più forte. Il mare va rispettato, assecondato, niente super eroi in navigazione. Anche tra onde di 15 metri e 70 nodi di vento sai che ne verrai fuori se sei umile. 
D - Come si vince la solitudine in tanti giorni di navigazione?
R – La tecnologia aiuta. E’ importante la comunicazione con chi ti segue da casa e aspetta i tuoi aggiornamenti. Ma anche con i fans che interagiscono via Facebook con i loro commenti. I collegamenti con le radio, l’abitudine a scrivere un diario ti spinge a trovare ogni giorno un pensiero positivo, come Peter Pan. 
D – Soli a bordo come si riesce a dormire?
R – Ho imparato da un professore americano che seguo da 10 anni, Claudio Stampi, a dormire a comando, in piccole fasi, con pisolini di 20 minuti. Come fanno gli animali. Il sonno polifasico é migliore rispetto a quello monofasico anche qualitativamente e in questo modo riesco a dormire 5 ore al giorno. 
D – Ma nel cuore di un navigatore c’è posto per l’amore?
R – Ci ho messo 47 anni a trovare la donna giusta, ma finalmente ho incontrato Corinne. Lei mi segue in tutto, dalla manutenzione delle barche alle traversate. E’ quella giusta. Perché anche lei ha il mare nel cuore.