L’UOMO CHE PARLA CON LE MAGLIE

Ad Artena c’è il Museo del Rugby. 1.800 maglie e cimeli storici di questo sport che vive nel rispetto della storia e della tradizione. Corrado Mattoccia è il Presidente della Fondazione Fango e Sudore che gestisce uno dei tesori più preziosi dello sport italiano.

Quando parla del suo Museo del Rugby Corrado Mattoccia è un fiume in piena. Gli brillano gli occhi. Torna bambino. Sogna. Nelle sue parole non c’è retorica – facilissimo invece caderci in queste situazioni - ma fatti, aneddoti, storie e tanta, tantissima passione. Negli ultimi dieci anni Corrado ha messo da parte i ricordi e le testimonianze di un numero spaventoso di giocatori, allenatori, appassionati dal Mondo Ovale. Un tesoro inestimabile per tutto lo sport italiano.
“E’ successo tutto molto naturalmente – ci racconta – perché quando andavo a trovare in Francia Mauro e Mirco Bergamasco tornavo sempre con 6-7 maglie, alcune acquistate a negozio e altre originali. Piano piano i fratelli si sono convinti di lasciarmi le maglie originali. Ora con l’aiuto di Simona abbiamo superato la quota di 1.800 maglie. Sono esemplari unici, tutte maglie “giocate”, che significa indossate da un giocatore, scambiate a fine partita e donate al museo. Abbiamo iniziato nel 2006 ma nel 2011 abbiamo costituito la Fondazione “Fango e Sudore – il Museo del Rugby” per proteggere tutto il materiale che stavamo mettendo da parte. Nel museo ci sono anche 7.000 cravatte, 300 palloni e una biblioteca che fa invidia a tutto il rugby mondiale.”
Non solo maglie quindi….
“Abbiamo anche la macchinina radio-comandata che portava in campo il sostegno per il pallone ai calciatori. Un oggetto unico che oggi non si usa più. Poi abbiamo una collezione pazzesca di francobolli con soggetto rugby.”
Come vive il Museo?
“Donazioni, biglietti e serate evento organizzate per incontrare i campioni del passato. In queste occasioni ci rimbocchiamo le maniche tutti: io faccio il cameriere, il vicepresidente cucina e Simona lava i piatti insieme a Mauro Bergamasco. Un grande.”
E Artena cosa ha dato?
“Hanno creduto nel nostro progetto e l’hanno sostenuto mettendoci a disposizione un locale di 600 metri quadrati proprio nel bellissimo centro storico del paese. Bisogna venirci per capire che gioiello sia Artena. La chiamano la città giardino ed è vero. Si mangia benissimo, il nostro cuoco è un falegname ed ha vinto più di un duello culinario con i grandi Chef stellati. Lui fa l’ebanista, cioè costruisce i mobili senza mettere neanche un chiodino.”
Quali sono le maglie più importanti?
“Le cinque che raccontano tutta la nostra storia. Io le chiamo “il Bignami del rugby italiano”. Quella della prima partita del primo mondiale, quella della vittoria a Grenoble sulla Francia, quella di Ivan Francescato, quella dell’esordio vittorioso nel Sei Nazioni contro la Scozia e infine quella della prima vittoria fuori casa in Scozia. Una partita pazzesca con gli azzurri che segnarono tre mete nei primi 18 minuti di gioco, con una meta di Mauro dopo appena 9 secondi.”
“Le maglie del Museo raccontano anche la storia e la geografia. C’è una parte dedicata agli anni del Fascismo con oggetti di quel periodo firmati “Duce” per arrivare alla parte sull’Unione Sovietica pre-Gorbaciov. Abbiamo sezioni dedicate agli All Blacks e al Sud Africa. Solo per dare un’idea della pazzie dei collezionisti: recentemente la maglia di Francoise Pienaar campione del mondo, firmata da Nelson Mandela, è stata recentemente battuta all’asta per la cifra di 253.000 sterline. Abbiamo anche la maglia della nazionale argentina che cadde con l’aereo sulle Ande, e quella del club in cui giocò Che Guevara.
Quella che hai inseguito di più…
“Quella di Victor Matfield, icona degli Springoks. Quando giocò a Udine contro l’Italia a fine partita andai negli spogliatoi e gliela chiesi spudoratamente. Lui si mise a ridere per il mio inglese e me la regalò. Non stavo più nella pelle e corsi a nasconderla per paura che me la richiedesse indietro. Era quella della sua 90-esima presenza in nazionale.”
“Ho faticato tantissimo invece a convincere Stefano Bettarello. Aveva smesso di pensare al rugby ma grazie al Museo si è riavvicinato. Festuccia ha donato quella della vittoria sulla Francia al Flaminio. Una giornata importante per lui che al tempo giocava nel campionato francese, rappresentava una sorta di riscatto sociale. E poi quella di Zaffiri della storica vittoria sulla Scozia a Edimburgo. Il giorno dopo mi ha telefonato supplicandomi di ridargliela ma qui al Museo tutte le maglie continuano a vivere con grande rispetto e la gente le ammira.”
Racconta quanto hai stressato Luciano Cochi Modonesi, azzurro come suo padre che giocò a Barcellona la prima partita ufficiale dell’Italia nel 1929, per avere la maglia …
“Quando ho saputo dell’esistenza di una tale rarità sono andato subito a casa sua a Brescia, ho citofonato e mi sono presentato. Non mi accolse bene ma poi ha lasciato che la maglia venisse esposta nel Museo. E’ una maglia speciale perché è senza maniche. Durante la Guerra la mamma le disfò per farci dei calzini. Faceva freddo e in famiglia non passavano un bel momento. L’ho inseguita 4 anni. Una sera è venuto a uno dei nostri eventi e mia ha portato la maglia del papà. Mi sono commosso.”
“Abbiamo anche la maglia del Neath indossata da Gareth Edwards – leggendario mediano di mischia del Galles anni ’70. Alcuni gallesi avevano contestato la veridicità della reliquia perché Gareth effettivamente ha giocato solo e sempre per il Cardiff ma durante una visita al Museo lo stesso giocatore ci raccontò la storia vera. Quella maglia è autentica – ci disse – l’ho indossata proprio io, e si mise a piangere. Cominciò a strillare e a telefonare agli amici. Poi ci ha spiegato la cosa. “Di quella partita non troverete traccia – disse – perché fu una partita fantasma. Il Neath giocò di nascosto un match contro i sudafricani e io fui invitato. In quel periodo era vietato giocare con i sudafricani per l’apartheid. Non cercate notizie ma questa è stata veramente la mia maglia.”