FRATELLI DI PADEL

A nord di Roma, lontano dalla zona oggi di maggiore concentrazione di campi, nel 2009 – quando nessuno lo conosceva - un gruppo di amici ha dato vita alla sezione Padel del Tennis Club Le Molette diventando una vera e propria istituzione. Sette volte secondi nel Campionato a Squadre e diversi giocatori convocati in Nazionale.

Hai la sensazione di esserci già stato, tanto è familiare. Niente fronzoli ma sostanza. Un giardino ben curato – aiole, vialetti, ghiaia e tanto verde - dove l’odore della terra rossa e delle palline è più forte di quello dei fiori. Nel senso che al circolo de “Le Molette” badano più al livello tecnico dei giocatori – ai risultati - che all’ apparenza. Si lavora tutti in questa direzione.
Siamo a nord di Roma, sulla Braccianese, in una valle dove anticamente si macinava il grano – da qui il nome del club - e dove invece la famiglia Lazzarino (Silvana è stata l’ultima italiana prima di Francesca Schiavone a raggiungere una semifinale di un torneo Grand Slam e Alberto è stato ai vertici del tennis italiano negli anni ’50) e la famiglia Spanò da circa 30 anni, con la stessa pazienza e amore di chi lavora in un Mulino, sfornano ogni anno giovani promesse della racchetta. Il circolo si è guadagnato negli anni – grazie alla programmazione tecnica e al modo di fare - il rispetto degli altri ed oggi è uno dei punti di riferimento nel tennis romano e non. Nel Padel, invece, è diventato in pochissimo tempo una vera istituzione perché proprio qui è stato montato il secondo campo di Roma (dopo l’Aniene) in senso cronologico. Tutti i giocatori più forti sono passati qui.
I corridoi della club-house sono pieni di foto di chi ha rappresentato Le Molette in Italia e all’estero e raccontano meglio di qualunque slogan il DNA di questo circolo votato da sempre al puro agonismo. A “Le Molette” tutto è a dimensione umana. Sembra di essere in una di quelle scuderie inglesi di Formula 1 degli anni ’70. Piccole e vincenti. Educazione, riservatezza, rispetto, lavoro duro, dolcezza, pazienza e competenza nel seguire i ragazzi che crescono. Senza ansie o crisi di nervi. Il giardino dei sogni.
Abbiamo incontrato Isidoro Spanò, un monumento del Padel Italiano, per farci raccontare come tutto ebbe inizio. Insieme al fratello Saverio, responsabile del progetto “Save the Paddle”, Isidoro ha costruito una delle squadre più forti a Roma e in Italia chiamando i vecchi amici del tennis che si sono presto convertiti al nuovo gioco. Isidoro e Saverio, insieme all’amico e naturalmente giocatore Sergio Mazzolani, hanno raccontato la loro storia con gli occhi lucidi di chi si emoziona.
Isidoro: “Ero alla fine della mia carriera tennistica nella quale avevo toccato il mio apice arrivando alle finali nazionali della serie C finendo – senza fortuna - in un girone di altissimo livello, tipo una seconda categoria alta. Ero molto soddisfatto di quanto avuto e dato nel tennis ma un giorno la mia vita ricominciò dopo un incontro assolutamente fuori dall’ordinario…”.
Continua Saverio: “Era domenica. Al circolo non c’era nessuno e improvvisamente entrò in segreteria un distinto signore assolutamente fuori dal comune. Capelli lunghi sparati – tipo il doc di “Ritorno al Futuro” - e tantissimi dvd sotto il braccio. Saluta e rivolgendosi a me e Isidoro ci dice che vorrebbe proporci un gioco fichissimo: il Padel.”
ma chi era il Doc?
Isidoro: “L’ingegnere Stefano Magnaldi. Credo che ora sia considerato il più grande esperto di impianti. Ci chiese se conoscevamo il Padel e poi subito ci fece la proposta: “Voi mettete il terreno, io il campo”. Alla fine quel primo impianto costò quasi 60.000 euro”.
Saverio: ”Magnaldi ci aveva osservati e studiati. Per lui eravamo le persone giuste per provare questo esperimento. Come spazio c’era disponibile un vecchio campo in mateco che nessuno utilizzava più. La nostra avventura è cominciata così.”
Ma eravate già contaminati dal Padel?
“Ero appena tornato da Madrid dove avevo notato questo gioco in un parco pubblico. Mi colpì positivamente il fatto che c’erano quattro amici che si stavano ammazzando sul campo (sportivamente). Era molto bello, coinvolgente. Mi sono messo a guardarli ma non pensai di importarlo a Roma. Qualche mese dopo arrivò Stefano e noi accettammo di buon grado la sua proposta. Era il 2009.”
Per stabilire la data è stato necessario un lungo confronto tra Isidoro, Saverio e Sergio. Alla fine tutti d’accordo: era il 2009. Ma ammetto che la mia curiosità giornalistica a volte è anche eccessiva e quindi cerco di stimolare qualche aneddoto in più….
Saverio si lancia in un ricordo fuori dal tempo che non può essere confermato (al momento): “uno dei primi primo campi di Padel a Roma lo proposero Patti e Magnaldi , non mi ricordo se al Circolo Casetta Bianca o al Due Ponti . Era un campo molto particolare con le pareti in legno…”
Ma come avete fatto a diventare i più forti di Roma e poi in Italia?
Isidoro: “Montato il campo cominciammo subito a giocare come pazzi. Tutti i giorni. Eravamo tutti ex tennisti e facevamo delle partite incredibili e molto equilibrate. Eravamo io, Fabrizio Anticoli, Alessandro e Stefano Pupillo, Sebastiano Sorisio, Sergio Mazzolani, Marsaglia, mio fratello Saverio. Tutti noi nati qui come giocatori di tennis. Mio padre ci aveva portati avanti per 30 anni in tutte le categorie e su tutti i campi, per due stagioni anche in B/1 ma questo Padel ci piaceva sempre di più, anche se giocavamo soprattutto a tennis. La prima sensazione provata la racconto sempre ai miei allievi. “chi prova a giocare a Padel non lo molla più”..
Isidoro: “Giocavo con Sebastiano Sorisio che era la mia vittima preferita, lo ricoprivo di insulti perché a livello tennistico era un po’ più indietro. Gli dicevo cose irripetibili ma siamo grandi amici. Gli mancavano alcuni fondamentali e io lo pungevo senza pietà. Credo che questa sia una componente del Padel romano che puoi ritrovare su tutti i campi. Ci prendiamo in giro, scherziamo ma siamo tutti amici. In seguito Sebastiano decise di seguire con grande serietà un percorso di accrescimento tecnico partecipando con successo a diversi corsi e clinic. Ora Seba è un Signor maestro, magari non un signor giocatore. Ahahaha..”
Isidoro è un fiume in piena di ricordi… “Giocavamo quasi sempre insieme e gli insulti erano simpatici perché sdrammatizzavano un po’ la situazione. Noi giocavamo sempre qui e pensavamo di essere dei fenomeni ma un giorno al Foro Italico giocammo contro tutti quelli di Bologna perdendo tutti sonoramente 6/0 6/1.. Loro giocavamo da almeno 4 anni. Da quel momento è iniziata una sfida nella sfida. Cominciammo a muoverci e fare tornei anche a Bologna. In un paio di anni abbiamo recuperato. Ho una grande amicizia con Roberto Agnini e Reina. Loro sono stati fondamentali nella crescita del Padel in Italia. Facciamo parte di quella prima generazione di giocatori che hanno dato vita a questo movimento. Eravamo pochissimi. Pensa che Cimino e Armenia erano al 16-esimo posto della classifica italiana!”
Ancora Isidoro: “E’ diventata una droga. E’ la storia di un gruppo di amici che giocavano a tennis con discreti risultati che tutti insieme si sono convertiti al Padel. Una storia romana. Il 2012 è stato il mio anno. Ho conquistato la prima posizione nel ranking e con la nazionale ho partecipato al mio secondo mondiale. Per crescere è stato decisivo andare a giocare a Bologna per confrontarci con i più forti.”
Saverio: “Pochissimi mesi dopo l’inaugurazione del campo ci chiamò da Milano Gualtiero Girodat e ci disse che c’era un gruppo che si allenava a Milano e che avrebbero voluto fare un evento a Roma insieme a Gutierrez, allora numero 2 al mondo. Fu un’esperienza importantissima per capire il Padel. Noi giocavamo a tennis su di un campo ridotto ma il gioco del Padel era un’altra cosa. Tiravamo delle bordate assurde che questo argentino dal fisico tracagnotto, neanche troppo atletico, neutralizzava con grande facilità mettendoci in difficoltà senza la minima fatica. Mentre giocavamo ripeteva “suave, por favor …”, ci insegnò alcuni segreti del gioco tipo che non è necessario tirare forte e l’importanza di usare il lobb, anche a inizio partita. Ci cambiò anche la visione del gioco, sensibilizzando soprattutto il nostro fair play. Per noi una palla dubbia era sempre fuori mentre per loro si rigiocava. Così, con il tipico sarcasmo romano cominciammo a ripetere un tormentone: com’era quella palla? A Bologna buona…. In verità il nostro spirito agonistico di tanti anni di Tennis ci portava ad essere più aggressivi del dovuto mentre l’approccio del giocatore di Padel dovrebbe essere più amichevole.”
Isidoro, Roma è stata la città che ha sdoganato il Padel facendolo diventare fenomeno di massa e di moda. Quella partita che giocasti agli Internazionali con Totti e Mancini fu un vero e proprìo spot.
“Portare su di un campo di Padel personaggi come loro è stato importantissimo. Ma era tutto vero. Totti e Mancini sono due appassionati veri che praticano ancora il Padel ma ce ne sono tanti altri.”
Il 2012 è stato il tuo anno?
“Si, ho vinto 8/9 tornei insieme ad Agnini e Reina. Quello che ho fatto nel Padel non è confrontabile con le mie esperienze tennistiche. Ho fatto tre mondiali, il secondo – in Messico - fu un’esperienza indimenticabile. Eravamo alloggiati in un resort bellissimo cinque stelle ed abbiamo legato fra noi giocatori come poche volte accade nello sport. C’era anche Sebastiano Sorisio che saltò un’escursione tra le rovine maya di Chichén Itzá per continuare ad allenarsi ma non servì molto …”
Cos’è il Padel per te, Isidoro?
“Il Padel è il mio circolo, gli amici e le partite che facciamo. Il Padel è anche “Save the Paddle”, un progetto che segue Saverio per la gestione dei due campi che abbiamo. Stiamo cercando di cambiare e promuovere l’attività di noleggio. Siamo sempre stati soprattutto un polo agonistico, venivano tutti a giocare qui per allenarsi e abbiamo volutamente tralasciato l’aspetto economico.”
Parliamo di agonismo allora. Quanto ti manca il titolo italiano a squadre?
“Tantissimo. Siamo arrivati sette volte secondi! Avremmo dovuto vincere tre anni fa in finale con l’Aniene ma non è successo. Adesso è cambiato tutto. Il quarto posto di quest’anno era il massimo che potevamo fare. Ho paura che se non cambiano le regole non vinceremo mai perché vogliamo rimanere puri. Vogliamo giocare noi. Vogliamo vincere noi. Che senso avrebbe fare una squadra con tutti stranieri?”.