Paul Cayard
La mia coppa America
L’abbiamo raggiunto al telefono appena arrivato alle Bermuda da dove commenterà la 35-esina edizione della Coppa America. Paul Cayard, classe 1959, è il Signore dell’America’s Cup, il più prestigioso e antico trofeo di vela. In Italia divenne famoso nel 1992 con Il Moro di Venezia ma la sua prima partecipazione risale al 1983 nell’affascinante e lussuosa Rhode Island, imbarcato con il suo mentore Tom Blackaller che lo volle a bordo di Defender. Sono passati 34 anni e Paul è ancora uno dei personaggi più importanti nel mondo della vela. Ha vinto anche la Volvo Ocean Race, il durissimo giro del mondo in equipaggio, e un’altra volta è arrivato secondo con la barca sponsorizzata dalla Walt Disney “Pirati dei Caraibi”. E’ una leggenda. Manager, velista, comandante, parla l’italiano con un simpatico accento straniero. Un grande comunicatore che molte aziende rincorrono per spiegare come si gestisce un gruppo di persone.
La Coppa America è cambiata notevolmente. Ora si corre con velocissimi catamarani ultra-tecnologici ma il fascino è rimasto immutato?
“Non è affascinante come 20 anni fa, ora c’è molta più tecnologia per andare sempre più veloci ma le regate sono sempre sulla formula del Match Racing (una barca contro un’altra) e il concetto di sfida non si è perso. Il Difensore americano Oracle - che detiene la Coppa - ha cambiato regole e barche pensando che questa nuova formula ad alta velocità possa attrarre di più i non velisti di quanto facevano le barche monocarena, più classiche e più lente. Ora le regate sono di circa 30 minuti e nelle immagini televisive c’è molta grafica che aiuta a comprendere rotte e strategie.”
Puoi presentarci i team sfidanti?
“New Zealand è alla sua nona Coppa America. Nessuno ha fatto più di loro. Sono gli sfidanti con il maggior numero di partecipazioni di tutta la storia. Il timoniere si chiama Pete Berling, è giovane ed è considerato il più grande talento emergente. Campione del Mondo nella classe Moth, piccole derive che volano sull’acqua grazie ad una pinna orizzontale. E’ stato medaglia d’oro e d’argento ai mondiali 49er, un altro scafo velocissimo e acrobatico. A bordo c’è anche Glenn Ashby, uno degli uomini chiave per gli americani di Oracle nelle edizioni 2010 e 2013. New Zealand ha perso però il suo più importante riferimento, sia a livello umano che tecnico, quando Dean Barker è andato via per approdare con la ricca sfida giapponese. I neozelandesi rimangono i grandi innovatori. Al posto delle famose manovelle azionate con le braccia dai grinder hanno introdotto le biciclette.”
“Softbank -Japan è un team completamente nuovo. I giapponesi hanno acquistato tecnologia dal difensore Oracle saltando la fase più lunga e difficile. Al timone c’è il neozelandese Dean Barker.”
“I francesi sono alla loro prima partecipazione dopo tanti anni. Il gruppo è completamente nuovo. Lo skipper è Frank Camas, forse uno dei velisti più esperti nei multiscafi ma il team ha un budget limitato e per loro sarà molto dura”.
“Gli svedesi di Artemis hanno fatto molta pratica nella classe degli AC45 e in primavera hanno dominato le regate di allenamento. Sembrano molto in forma. Nathan Outteridge, medaglia d’oro nei 49er e Campione del Mondo nei Moth, è alla sua seconda Coppa America come timoniere. Pedigree, esperienza e temperamento per fare la differenza.”
“La sfida inglese si chiama BAR e la comanda Sir Ben Ainslee, il velista olimpico più decorato della storia. Non ha una grande esperienza nei multiscafi ma la sua esperienza sarà determinante. BAR non ha vinto nessuna tappa delle Series di preparazione e nelle regate di allenamento alle Bermuda ha avuto parecchi problemi per mettere a punto la barca.”
I neozelandesi sono sempre i favoriti?
“New Zealand e Artemis saranno probabilmente i due sfidanti finalisti della Louis Vuitton Cup”.
Sono passati 25 anni da Il Moro di Venezia, l’avventura che tutti ricordano con affetto. Grazie a te e il tuo equipaggio gli italiani hanno conosciuto la vela e la Coppa America. Cosa ti viene in mente?
“Con il Moro siamo stati leader dal punto di vista tecnologico e agonistico. Nel 1992 Il Moro vines la Louis Vuitton Cup. In quella edizione c’erano parecchi team sfidanti di diversi paesi e il Moro diventò il simbolo del successo italiano. Raul Gardini, che guidava la sfida, era una figura carismatica di ampie vedute. E’ stata la mia esperienza più bella nell’America’s Cup.”
Una storia che ti piace ricordare di quei giorni a San Diego.
“Ero seduto nell’ufficio di Raul e lui fumava una sigaretta. Ogni tanto tossiva. Mi disse che dovevo cominciare a fumare anch’io. Gli piaceva provocarmi, lo faceva con affetto. Sapeva che non l’avrei mai fatto ma voleva condividere con me il suo piacere di fumare. Era impossibile vedere Raul senza una sigaretta per più di dieci minuti.”
Tangone, Bompresso quali sono le nuove parole che dobbiamo imparare?
“Le derive o “Boards” che nel linguaggio tecnico si chiamano daggerboards, le ali che fanno alzare sull’acqua le barche. "Cant", l’inclinazione delle derive,” twist" la rotazione delle ali. Ma soprattutto ora bisogna dire “volare” e non andare a vela”.
Tu e Russell Coutts siete responsabili di questa rivoluzione culturale.
“Io e Russel abbiamo promosso un circuito di regate di flotta con multiscafi. Questo progetto è diventato il format delle regate di preparazione alla Coppa America che ora si chiamano AC World Series. Le prove sono più corte e comprensibili per tutti.”
La sensazione è che si sia persa quella sana rivalità tra difensore e sfidanti.
“Nella nuova America’s Cup è tutto molto più livellato. Ci si allena insieme anche agli avversari, si vende e si compra tecnologia e sviluppo dagli altri team. I giapponesi di Softbank hanno acquistato dati da Oracle. Artemis e BAR si sono allenati insieme. Soltanto New Zealand ha mantenuto segreti propri progetti.”
Non c’è una sfida italiana ma siamo sempre bravi nella vela?
“Si certo, per la seconda volta dal 1983 non c’è una barca italiana ma questo non cambia il valore e la competenza dei velisti italiani.”