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Il pugilato insegna come stare al mondo

Roberto Cammarelle, nume del nostro pugilato olimpico, racconta i suoi trionfi, le sue sconfitte e le lezioni che ne ha tratto.

di Giuliano Giuliani

Il 1 giugno, il Salone d'Onore del CONI ha ospitato il secondo "Raduno dei gruppi sportivi della Polizia di Stato - Fiamme Oro". Secondo, perché il primo ebbe luogo nove anni fa all'indomani delle olimpiadi di Pechino. In quest'occasione dunque la Polizia, che nella sua storia vanta ben 90 medaglie a cinque cerchi, ha "convocato" atleti di quella e di altre due olimpiadi, Londra 2012 e Rio 2016, per rendere loro il giusto omaggio. Annunciati dal cerimoniere, il sovrintendente capo Stefano Pantano; premiati da personalità come il presidente del Coni Malagò, il capo della Polizia Franco Gabrielli e il presidente del Comitato Paralimpico Luca Pancalli; attorniati da altri ex atleti delle Fiamme Oro, come il due volte oro olimpico Daniele Masala, e la sei volte campionessa olimpica Valentina Vezzali; hanno sfilato i campioni di oggi, tra cui Gregorio Paltrinieri, oro a Rio nei 1500 stile libero, ed Elisa Longo Borghini, bronzo del ciclismo. Tra loro anche Roberto Cammarelle, che di olimpiadi ne ha disputate tre (da atene 2004 a Londra 2012) vincendo altrettante medaglie, di ogni colore, nei tornei dei pesi massimi. Abbiamo avuto l'occasione di intervistare questo campione che, a buon diritto, è entrato nella storia della boxe italiana ed oggi continua a contribuire allo sport azzurro come direttore tecnico del settore pugilato del gruppo sportivo delle Fiamme Oro.
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È vero che ha deciso di fare il pugile a 11 anni? Come è successo?
Si, ho iniziato a fare pugilato a 11 anni. Volevo dimagrire, insieme a mio fratello, di un anno più grande, ci siamo iscritti alla società pugilistica “Rocky Marciano” di Cinisello Balsamo in provincia di Milano, dove abitavamo, perché il maestro Biagio Pierri conosceva i miei genitori.
Quali erano all'inizio i tuoi modelli sportivi nel pugilato?
Quando ho iniziato i miei modelli erano Mike Tyson e Muhammad Alì. Il primo, l’ho visto combattere in diretta tv, era simbolo di forza, fama e ricchezza, lo sportivo più pagato al mondo per qualche anno! Il secondo l’ho studiato col tempo perché era simbolo di tecnica, grande mente e sportivo universale.
Quali sono i pugili di oggi che ammiri di più?
Il pugile che ammiro di più in assoluto oggi è Lomachenko (Vasyl, pugile ucraino, due volte campione mondiale e due volte campione olimpico nei pesi piuma e leggeri; detentore del titolo mondiale superpiuma WBO, ndr).
Gran parte della tua carriera sportiva, quasi fin dall'inizio, si è svolta nelle Fiamme Oro, come e quando ci sei entrato?
Nel 1999, finite le superiori col mio diploma di ragioneria, ho fatto il concorso pubblico. Volevo entrare in Polizia per poter fare del mio sport la mia professione. Nel 2000 sono partito per il corso di arruolamento e sono stato destinato al gruppo sportivo Fiamme Oro.
Quando e perché hai deciso di restare nel mondo dei dilettanti? Ti sei mai pentito di questa scelta?
Quando ho cominciato il pugilato volevo diventare il nuovo Tyson, il campione del mondo dei pesi massimi professionisti. Poi entrando in Nazionale ho cambiato il mio sogno: volevo essere il campione olimpico! Entrando in Polizia ho scoperto il senso di appartenenza al corpo e alle gloriose Fiamme Oro, volevo diventare una bandiera del mio gruppo sportivo. Ma avere nelle proprie file atleti come Valentina Vezzali non è semplice! Essere campione olimpico ti rende noto alla gente anche perché li hai rappresentati al meglio nel torneo più prestigioso. Riuscire ad ottenere queste premesse mi rende orgoglioso, non mi sono mai pentito di non essere passato professionista.
Parliamo dei trionfi: i due mondiali e le olimpiadi di Pechino. Raccontaci in breve queste tre vittorie diverse.
Nel 2007 la Nazionale ha fatto un cambio tecnico alla propria guida: il russo Filimonov avrebbe dato rilancio alle speranze azzurre. Per me ha contribuito al mio salto di qualità. Ero già bravo, ero bronzo olimpico e mondiale negli anni precedenti, ma con lui alla guida mi sentivo il più forte. Quell’anno i mondiali si disputavano a Chicago, padrino della manifestazione era Muhammad Alì. Fu un’iniezione di adrenalina vederlo di persona alla cerimonia di apertura. Quel mondiale era anche il primo impegno di qualificazione olimpica, non potevo non arrivare a medaglia, mio traguardo minimo da sempre! I primi due incontri furono facili, al terzo ho incontrato un forte atleta, il bulgaro Pulev, che ho battuto con grande determinazione. I match successivi erano fondamentali per la qualificazione olimpica e per arrivare alla finale, li ho vinti tutti e due per rinuncia da parte degli avversari. La finale, col pugile ucraino Glazkov, fu una vera passerella e dimostrazione di capacità tecnica e tattica.
Nel 2008 arrivai a Pechino da campione del mondo e da favorito, avevo qualche solito problema fisico ma ero determinato a conquistare il mio sogno: l’oro olimpico. Il primo incontro fu facile, il secondo, contro il colombiano Rivas puntai alla gestione della sua forza fisica con colpi di rimessa. Vinsi ma non convinsi il tecnico Damiani che mi sgridò perché “mi ero risparmiato e non potevo rischiare nel torneo olimpico per errori di sottovalutazione”. La semifinale con l’inglese Price e la finale con il cinese Zhang feci due capolavori. L’esplosività e la concretezza dei miei colpi mi portarono alla vittoria del titolo in maniera incisiva. Ancora oggi sono ricordato per questo!
Nel 2009 volevo smettere perché avevo vinto tutto ma i mondiali si disputavano a Milano, a casa mia, non potevo lasciarmi scappare l’occasione di vincere davanti alla mia famiglia e al mio pubblico. Partecipai ancora da favorito ma non mi pesava, anzi mi caricava ulteriormente. I primi due incontri furono facili, ma per il terzo che stabiliva chi entrava in medaglia dovevo contendermi la posta in palio contro il bulgaro Pulev. Fu un match duro per le scorrettezze del mio avversario, che però non m’impedirono di dimostrare la mia superiorità. In semifinale incontrai il bielorusso Zuyev, che atterrai dopo pochi secondi, e raggiunsi la finale contro un altro pugile ucraino, Kapitonenko. Fu una finale combattuta all’inizio dei primi due round, ma nei successivi due presi il sopravvento e vinsi con gran merito, tanto da meritarmi il titolo di miglior pugile della kermesse.
Qual è stato l'incontro più duro che hai affrontato?
I quarti dell’europeo 2006 contro il russo Timurziev. Pugile dalle mani pesanti che mi atterrò alla seconda ripresa. Persi l’incontro ai punti ma anche l’accesso alle semifinali e alle medaglie, fu terribile... non ero abituato.
Qual è la vittoria sul ring che ti ha dato più soddisfazioni?
Sicuramente la vittoria di Pechino 2008 è quella che mi porterò dietro tutta la vita, sono il campione olimpico!
A Pechino ti è riuscita un'impresa doppia, vincere la medaglia d'oro contro un cinese in casa sua. Cosa che purtroppo non ti è riuscita a Londra quattro anni dopo contro un inglese, a causa di un verdetto che definire casalingo è poco. Ti aspettavi questo problema in Inghilterra?
Sì mi aspettavo un trattamento di favore al mio avversario ma , al termine della seconda riprese, credevo che alla fine mi avrebbero premiato lo stesso, vista la mia performance. Ma fa parte del gioco e posso solo essere soddisfatto di aver portato a casa l’ennesima medaglia.
Nella tua carriera hai affrontato tanti russi ed ex sovietici. È stato più impegnativo confrontarti con loro o con Natalia Titova a Ballando con le Stelle?
Natalia Titova è senz’altro la sportiva russa con cui ho lavorato più volentieri, perché mi ha fatto sudare ma divertire allo stesso tempo!
Oggi sei un tecnico delle Fiamme Oro e alleni i giovani pugili del gruppo sportivo della Polizia. Che lavoro stai facendo con loro? Ci sono potenziali campioni?
In realtà io sono il Direttore Tecnico, mi occupo più della parte amministrativo-gestionale degli atleti e dei tecnici del mio gruppo. Cerco di dare loro le mie indicazioni comportamentali e i miei suggerimenti per affrontare al meglio questo sport, per diventare possibili campioni. Abbiamo anche diverse sezioni giovanili dove portiamo e cerchiamo di divulgare i valori di questo sport. Il potenziale c’è, la differenza la fa la motivazione ed è lì che noi stiamo cercando di intervenire, ma il successo è spesso frutto di un lavoro interiore. Non sappiamo se cresceranno campioni ma io e i miei tecnici continueremo a coltivare e alimentare giovani speranze.
A prescindere dalle vittorie, che cosa possono dare a loro, e ai giovani in generale, la boxe e un campione come te?
Il pugilato insegna a vivere in questo mondo, ad affrontare le sfide sportive ed umane, insegna le regole, il rispetto di se stessi e degli altri. In una parola sola arricchisce la persona. Io posso soltanto dare loro l’esempio che tutto ciò e vero!