Io salto da sola
Abbiamo incontrato Lavinia Alberti, una dei protagonisti del programma "Monument Crew" di Rai4. La giovane performer romana ci ha introdotto alla disciplina emergente del parkour, resa celebre in questi ultimi anni anche in Italia da film, pubblicità e video virali nel mare magno del web.
di Giuliano Giulianini
Laureata in giurisprudenza, un master in risorse umane, un passato lavorativo da consulente, nell'organizzazione di eventi ed anche in una fondazione per lo sviluppo di progetti sociali; un presente da insegnante in corsi di ginnastica artistica e danza acrobatica... ma il modo più probabile per incontrare Lavinia Alberti è la strada, i quartieri periferici di Roma caratterizzati da un'urbanistica tormentata e dalle barriere architettoniche: Lavinia ci corre attraverso e ci salta sopra, con una velocità, una potenza e un'agilità che le vengono da anni di ginnastica artistica, karate, danza moderna e, soprattutto, parkour.
Lavinia infatti è una "traceuse", una praticante della disciplina del parkour resa celebre da film come "Banlieu 13" o "Free Runner", ma soprattutto dai video, amatoriali e non, che girano in rete. Si tratta di atleti / performer che ridisegnano i percorsi urbani correndo e saltando su rampe, tetti, scale, muretti, pali, e qualunque ostacolo si pari loro davanti. Anche in Italia parkour e free running stanno prendendo piede, tanto da convincere Rai4 a produrre quattro puntate di una serie chiamata "Monument Crew", andata in onda in autunno. Sei ragazzi di diverse regioni italiane si sono spostati da Torino a Matera, da Volterra a Napoli, per saltare su monumenti e siti archeologici, mostrando il lavoro, il sacrificio, l'allenamento e la passione che stanno dietro quei video su internet.
Come è nata l'occasione di Monument Crew?
C'è un gruppo italiano, il Team Jestion che aveva sfornato l'idea di partire per realizzare percorsi e video in luoghi monumentali. Sono diventati un best team, forte e famoso non solo in Italia. Non so da chi sia partita l'iniziativa di replicare questo format in un programma televisivo, chiaramente chiedendo tutti i permessi. Uno dei traceur del Team Jestion, Gian Marco Oddo è entrato a far parte di Monument Crew; a lui e ad altri recruiter hanno suggerito altri nomi tra cui il mio. In quel momento stavo lavorando in Calabria. Tramite facebook mi hanno contattato per propormi di partecipare. Ho dovuto inviare un video, che ho realizzato nella mia unica ora di pausa nel posto dove lavoravo, perché ero impegnata 20 ore al giorno. Ho poi registrato l'audio della presentazione nella sala d'aspetto dell'aeroporto di Crotone, perché era l'unico posto tranquillo che ho trovato. Superati altri casting sono stata presa. Non ci credevo più. Tra l'altro avevo delle infiammazioni per cui ogni giorno facevo fisioterapia. Durante la trasmissione infatti ho tirato il freno a mano per gestire le energie e arrivare fino alla fine. Però sono stata brava: alla fine ho fatto tutte le mie run.
Come è stato accolto il programma nel vostro ambiente?
Il nostro ambiente, come sempre, si è diviso. I puristi si sono scagliati contro il fatto che facevamo i flip (le acrobazie, ndr.) e perché abbiamo mostrato un infortunio (Silvia, una delle protagoniste si è storta una caviglia a Matera durante la seconda puntata, ndr.). Ma è successo e l'hanno raccontato. Altri hanno parlato di spettacolarizzazione. C'è chi ha criticato che così si da l'immagine di essere dei pazzi mentre in realtà si fanno delle performance, ma io penso che si capisca che c'è una preparazione dietro. Altri hanno apprezzato il mostrare l'amicizia e la collaborazione tra i traceur che sono i veri valori del parkour. Questo, secondo me, è ciò che è rimasto del programma in chi non fa parkour.
Qual è la tua storia sportiva?
Ho iniziato da piccola facendo diversi sport, ma molto tardi con la ginnasticaartistica, verso i 10/12 anni, una cosa che un po' mi dispiace: mi sono ritrovata a inseguire le altre. Ero parecchio potente, mi piaceva moltissimo e ho continuato fino ai 15 anni. Poi ho mollato , stanca di vedere gare falsate da giudici troppo generosi con le allieve delle proprie società; mi buttava giù dopo tutto il lavoro che facevo. Però mi era rimasta una gran passione per la ginnastica. Sono passata al karate e mi è piaciuto da morire: l'assenza della gara, avere qualcuno davanti che ti vuole "menare" (ride, ndr.). E' un po' come gli scacchi: con poche mosse codificate ma in maniera fisica.
Verso i 19 anni la ginnastica artistica mi mancava, ma pensavo di essere troppo vecchia per fare queste cose. Siccome avevo la compagna di banco fissata con la danza moderna ho pensato di fare quello: hip hop, cose così; ma dopo sei anni di karate ero un pezzo di legno. Tra tutti i corsi possibili ce n'era uno che si chiamava "acrobatica" e mi sembrava adatto a una ragazza che aveva fatto artistica. Dopo la prima prova ho scoperto che mi riuscivano cose che non facevo neanche da bambina e mi sono innamorata della cosa. Per un anno ho fatto karate i giorni pari, acrobatica i giorni dispari e le gare la domenica. Poi ho scelto di continuare solo l'acrobatica.
Durante gli anni universitari sono andata in Spagna per l'Erasmus e ho scoperto il gusto di andare di correre: il free running. Il parkour non prevede i flip, le acrobazie. Il free running si. Ciò che prevede flip non è parkour: un salto preso da un'arte marziale o dalla ginnastica artistica non è parkour. Il parkour è nato anche come espressione cinematografica.
Tu quindi fai free running e non parkour.
Per me è tutto uguale. Quando ero bambina mi arrampicavo e saltavo da un albero all'altro; lo chiamavo "il percorso". Oggi che faccio e insegno parkour e free running io esprimo il mio movimento, divento creativa, attraverso l'uso del mio corpo. Che stia correndo o facendo scavalcamenti o acrobazie è libera espressione di me stessa; non mi piace fare differenze ma esperienze sempre diverse. Siamo studenti del movimento, la parte essenziale è quella creativa, di ricerca.
C'è stato un momento di svolta o un incontro, un gruppo, un aneddoto?
In Spagna ho capito quanto potesse essere bello scoprire una città attraverso la corsa e il movimento fisico: poter legare il tuo corpo a un posto perché li hai fatto qualcosa e soltanto tu ci sei passato. Quel pezzo di città diventa un pezzo di te. In Spagna in realtà ho trovato il parkour attraverso internet, come il 90% di noi italiani. Sapevo di una scuola romana, quindi ho fatto parkour solo una volta tornata Roma, ma è in Spagna che ho capito cosa fosse.
Si può dire che siete come dei "graffitari" le cui opere non lasciano tracce?
E' la stessa sotto-cultura però non roviniamo nulla, anzi puliamo il più possibile prima di saltare, altrimenti ci facciamo male, ad esempio con i cocci delle bottiglie.
Non è frustrante fare qualcosa, un percorso, un salto, e non averne traccia? Oppure fate sempre dei video delle vostre performance? Qual è la routine?
Il parkour prevede che ci si sposti dal punto A al punto B nel modo più veloce ed efficiente possibile. Molte volte il traceur vuole provare un punto in particolare, e invece di fare l'intero percorso si ferma su quella cosa che vorrebbe provare a fare, per poi inserirla nell'intero percorso. Per cui si blocca li per un periodo finché non gli viene e magari fa la ripresa della cosa. Su uno scavalcamento o su un'acrobazia ci si può passare una giornata. L'allenamento avviene quindi in maniera più statica di quanto si possa pensare: rimanendo a provare le cose più difficili.
Io ci abbino sempre la corsa, come si è visto nel programma, perché la mia concezione del parkour è non fermarsi mai ed essere fluida. Non faccio vedere grandi trick perché cerco una tracciata fluida senza bloccarmi nel mezzo del percorso. Non ho mai pensato che fosse "brutto" non lasciare tracce, per noi è "giusto" non farlo. Qualsiasi altro sport non lascia tracce. Poi comunque abbiamo i video.
Lo vedi più come uno sport o come un'arte marziale? Ti piacerebbe che il parkour fosse una disciplina olimpica?
Ci stanno pensando. Nella cerimonia di apertura delle ultime olimpiadi era inserita un'esibizione di parkour. Non so. Come la danza, il parkour è una libera espressione di sé; è vero che ci sono gare e concorsi di danza ma la si va a vedere per il lato estetico, per ciò che trasmette, non per il punteggio dell'esercizio. Red Bull ha "preso" il parkour come lo skate e altri sport estremi, perché ha capito che è "figo", e ha creato un network di eventi. Però sono competizioni ancora free style: nessun movimento è codificato con un punteggio come avviene nella ginnastica artistica. Se dovesse andare alle olimpiadi, immagino che invece di giudicare il flow, la continuità di movimento, la fantasia, la difficoltà tecnica, si valuteranno i singoli movimenti con dei punteggi. A quel punto però diventerà molto simile alla ginnastica artistica. Lo vedo molto di la da venire. Ogni tracciatore ha il suo stile, preso magari dall'arte marziale di propria estrazione. La varietà, da un lato, è la forza del parkour, dall'altro è un ostacolo per individuare un punteggio.
E se fosse una gara contro il tempo, visto che la premessa è appunto "il modo più veloce ed efficiente per andare da A a B"?
Mi picerebbe da morire. Ci sono gare simili in giro per il mondo. Ne ho fatta una appena tornata a Roma: la defininitiva consacrazione della mia voglia di fare parkour. Era praticamente una gara di sopravvivenza, dove si scavalca e si passa sotto agli ostacoli. Così avrebbe senso.
Quanto pratichi durante la settimana?
Praticamente tutti i giorni.
Qualcuno lavora con il parkour?
Si. C'è chi insegna, chi fa spettacoli, chi organizza eventi. Alcuni, organizzandosi in gruppi, hanno creato i parkour park: come gli skate park ma dedicati al parkour, che magari integrando altre discipline possono anche fare impresa. A Roma non c'è nulla del genere, un po' perché siamo divisi, un po' perché la città è grande, è difficile trovare spazi in centro e i costi sono alti. Stiamo troppo ognuno per conto suo; c'è il concetto di ottenere più per sé che per tutti. Questo per me è "l'anti parkour", ma sta cambiando negli ultimi tempi.
Quando esci per fare parkour ti muovi in gruppo o da sola? Esiste la "crew", il gruppo, come si vede nel programma tv?
Esiste veramente, ma io non ce l'ho. La mia è una storia particolare: ho iniziato in gruppo, molto motivata; gli facevo, gratis, il riscaldamento. Ma gli uomini sono str... e una donna non la seguono. Quindi ho iniziato ad allenarmi da sola e a frequentare altri gruppi. Conosco gruppi di mezzo mondo, sono stata accolta ovunque, ho preso qualcosa da ognuno, però ho continuato ad allenarmi di notte, per strada, dopo una giornata in ufficio o di insegnamento, perciò quello che ho è mio. Sono in ottimi rapporti con molti gruppi ma ormai è storia: io il gruppo non ce l'ho.
La routine di una "run" è come si vede nel programma? Ricerca del luogo giusto, sopralluogo per decidere il percorso, allenamento sui gesti tecnici da eseguire, e infine una corsa completa?
Niente è come nel programma. Quello era un racconto, una storia che potesse prendere lo spettatore e creare una suspense. L'unico criterio con il quale scegliamo uno spot in verità è la presenza di barriere architettoniche: il parkour è uno sport povero, di periferia, un'arte di stada che dalla strada può salvare. Nessuno di noi può tracciare su un monumento. Normalmente delineiamo più di un percorso nell'arco di uno stesso allenamento in contemporanea: giriamo il luogo, troviamo cose da provare finchè non ci vengono e otteniamo diversi spunti dagli altri, l'idea del sopralluogo, come quella dell'allenamento, era utile alla narrazione del programma e ha fatto un buon servizio perché ha fatto capire che non siamo incoscienti, ma in realtà le tre fasi non sono separate. Da questo punto di vista Monument Crew mi è piaciuto molto ed è stato apprezzato perché ha fatto capire che non siamo dei matti: qualsiasi altro programma ci avrebbe fatto apparire come persone che di punto in bianco saltano sopra i monumenti e avrebbe fatto un cattivo servizio al parkour. In realtà c'è molta preparazione dietro. Il fatto che il programma sia stato strutturato così va bene, ma in realtà l'allenamento per una run non dura due giorni. Esistono dei posti, che chiamiamo "spot" perfetti per fare parkour.
Ad esempio, a Roma?
Sono posti in periferia dove le barriere architettoniche offrono ostacoli da scavalcare. Ad esempio la stazione della metropolitana Annibaliano, Torrevecchia, Ruspoli, Magliana, Tor Bella Monaca, Spinaceto; c'è anche un mini spot al Colosseo, dove tutti vanno a fare una ripresa per dire di essere stati a Roma. Molti camminano e trovano il posto per fare ciò che hanno in mente; dopo aver "chiuso" quella zona si spostano in un'altra. Le parti acrobatiche vengono meglio sull'erba, quindi ci si sposta dove ce n'è. Io faccio tutto ciò correndo: spesso guido fino a un quartiere, mi lego le chiavi dell'auto addosso, mi riscaldo, parto di corsa e cerco di saltare tutto quello che mi viene in mente. Ovviamente se trovo qualcosa che mi piace mi fermo più tempo in un posto. Poi torno indietro dopo una, due o tre ore ed è la fine dell'allenamento.
Tutto ciò da sola, o viene qualcuno con te, magari per riprenderti?
Maggiormente da sola, con la telecamera in spalla che poi poso a terra per farmi delle riprese.
Esiste una situazione dove è impossibile fare parkour? La spiaggia, o un prato.
No. La spiaggia anzi è perfetta per fare acrobatica. Esiste uno spot perfetto a Torvaianica dove i muri danno sulla sabbia. A parte i problemi legali non credo ci siano posti inadatti al parkour. Ovvio che in una landa desolata e piatta di solo cemento posso al massimo fare acrobatica.
La cosa bella è che noi abbiamo bisogno degli ostacoli. C'è il luogo comune che il parkour serva a sviluppare una resistenza agli ostacoli, ma questo lo ha in se ogni persona.
Filosoficamente parlando il parkour è oltre: abbiamo bisogno dell'ostacolo per avere l'occasione di progredire, di fare queste cose e poter dimostrare qualcosa, soprattutto a noi stessi. Senza l'ostacolo non potremmo essere traceur. C'è chi gode nel fare il salto più lungo o nel maggior numero di flip uno dopo l'altro. Io sono un pennello e il posto dove sono è la tela dove descrivo una linea.
C'è un posto dove sogni di saltare?
Ho proposto i fori, ma mi hanno detto che è impossibile avere i permessi.
Nel programma eravate sei traceur, di cui tre romani. La proporzione è questa in Italia: siete di più a Roma?
E' stato un caso. Di gente forte, che riesce ad integrare bene lavoro e parkour, ce n'è soprattutto al nord. Però noi siamo forti. Forse Roma è favorita dal fatto di essere una grande città, quindi siamo tanti, ma la propozione non è quella.
Chi sono i migliori traceur a livello internazionale?
Il parkour è nato in Francia e quindi ci si aspetterebbe molto dai francesi, ma si va a periodi. C'è stato quello dei russi: dei pazzi! Solo loro riescono a fare certe cose; sono fortissimi come nella ginnastica artistica. Poi c'è stato il periodo degli inglesi; ora vanno di più gli americani. Magari un giorno emergeranno i cinesi o i giapponesi.
Esiste l'agonismo, la voglia di essere più bravo di un altro, o quando si va insieme ognuno fa il suo come in una jam session?
Ognuno ha una testa diversa, c'è chi è competitivo anche in maniera brutta. Di solito però la maggior parte dei traceur mette in pratica ciò che prevede la disciplina: la jam session come l'hai chiamata, un raduno, come di motociclisti. Per me la competizione è buona nel senso che io do il meglio di me perché tu possa dare il meglio di te. Un gioco al rilancio in cui magari c'è emulazione ma non competizione "cattiva"... anzi, ti migliora.
Quanti dei tuoi amici fanno anche parkour?
Tutti i miei amici sono giuristi, come me, quindi figuriamoci come c'entrano con il parkour. Ovviamente tramite il parkour mi sono fatta un altro gruppo di amici che nella vita sono insegnanti, fotografi o bravi video maker.
Ho notato che corri e salti con le cuffie; che cosa ascolti durante le run?
Tutti vogliono saperlo (ride, ndr)! Dipende dai momenti. Ho la mia playlist come tutti. Passo dalla musica pop alla classica, che uso ad esempio quando ho bisogno di concentrazione.
Un tuo collega ti ha definito un toro durante la trasmissione; non è stato molto carino, ma hai un animale totemico cui ti ispiri o vorresti assomigliare durante le performance?
(Ride, ndr.) A me ha fatto piacere quando ho rivisto il programma. Mi hanno detto di tutto: macchina da guerra, iron girl... Se rinascessi vorrei essere un gatto.
Le puntate di "Monument Crew" sono disponibili sul sito www.raiplay.it/programmi/monumentcrew. Per seguire le attività di Lavinia Alberti: www.facebook.com/lavinia.alberti.page
IL GERGO DEL PARKOUR
Parkour: dal francese "percorso", andare da A a B il più velocemente ed efficacemente possibile;
Free running: libera espressione di se, combina discipline diverse come parkour, ginnastica, acrobatica ecc.;
Traceur e traceuse: dal francese, colui e colei che praticano parkour;
Tracciare: creare, ideare un percorso da un punto a un altro attraverso gli ostacoli da saltare;
Movimenti: salti, scavalcamenti, arrampicate, volteggi riconoscibili come mosse codificate, identificate con nomi come monkey, cat leap, walk run, precision, roll ecc.
Flip e trick: acrobazie inserite nel percorso;
Spot: il posto scelto per la performance in base alla presenza di barriera architettoniche;
Run: sequenza di movimenti preparati e presentati durante un'esibizione o una gara.