Mio padre, Steve Jobs
di Elena Oddino
Certo non è da tutti essere la figlia di un genio come Steve Jobs, il fondatore della Apple, morto per un cancro al pancreas nel 2011, che ha rivoluzionato il mondo e la vita di tutti noi. Ma certo non dev’essere stato neanche facile vivere accanto ad una personalità così forte e spietata come quella di un imprenditore, famoso anche per il suo caratteraccio e le maniere rudi che sfoderava non solo con i dipendenti ma anche con i suoi cari. Così lo descrive anche sua figlia, Lisa Brennan-Jobs nel libro recentemente uscito in America e in Italia, “Pesciolino” (Rizzoli editore), in cui la primogenita di Jobs racconta il celebre papà con sincerità ma anche indulgenza, senza risparmiargli critiche ma confessando di averlo ormai perdonato. “Era avaro di denaro, soldi ed affetto”, scrive nel suo libro Lisa, che oggi ha 40 anni ed è una affermata scrittrice e giornalista. E racconta di un rapporto complesso e tormentato con il padre che per anni ha rifiutato di riconoscerla finché un test del DNA non l’ ha obbligato a farlo. Aveva 23 anni Steve Jobs quando Lisa nacque alla fine degli anni ’70 in una fattoria della Silicon Valley. La mamma Chrisann Brennan, era una sua ex compagna di liceo, poi divenuta pittrice, e lui che per vivere, allora, vendeva apparecchi, illegali, per telefonare gratis, si rifiutò di riconoscerla. Lisa crebbe con la mamma che per mantenerla lavorò come donna delle pulizie e cameriera. Steve ignorò sempre la situazione finché un giorno fu costretto dal tribunale a sottoporsi a un test genetico che stabilì la sua paternità. Anche dopo la prova del DNA Steve continuò a negare l’evidenza arrivando a definirsi sterile, ma la legge lo obbligò a versare gli alimenti. All’inizio però talmente “poveri” da costringere mamma e bimba a farsi ospitare da amici, e a traslocare ben 13 volte. Solo ad 8 anni Lisa iniziò ad essere considerata da Jobs come una figlia. Ma a modo suo, con freddezza e distanza. Un atteggiamento arido forse derivato della sua infanzia quando il fondatore della Apple, alla nascita, fu abbandonato dai genitori ventenni e adottato da una famiglia umile, gli Jobs.
Per Lisa, da piccola, il papà, che poi nel ’91 sposò Laurene Powell da cui ebbe tre figli, appariva una figura mitica e sfuggente. Il primo incontro con Steve lo ricorda bene. “Sai chi sono? mi chiese”, scrive Lisa nel libro. “Si scostò i capelli dagli occhi. Avevo tre anni, non potevo saperlo. Sono tuo padre, disse. Sono una delle persone più importanti che ti capiterà di conoscere". Ma solo a 8 anni quando venne riconosciuta da Jobs, Lisa cominciò a frequentarlo di più. Un giorno andò a prenderla a casa della mamma con la sua Porsche nera. La bimba, affascinata, chiese se era vero che lui comprava una macchina nuova appena aveva anche un graffio, e se “un giorno” il padre gliel’avrebbe regalata. Ma lui, scrive Lisa nel libro, rispose secco: «Tu non avrai niente, hai capito? Niente. Intendeva la macchina o qualcosa di più grande? Non lo sapevo. La sua voce era acuta, nel mio petto». Dopo aver frequentato scuole “povere” Lisa, con il riconoscimento del padre e il suo ricco assegno “mensile” di mantenimento, ha potuto studiare ad Harvard e al King’s College di Londra, per trasferirsi dopo la laurea a Manhattan dove lavora come giornalista-scrittrice. E a distanza di tempo oggi riesce a guardare il papà con maggiore indulgenza. Sì, è vero ammette, non ricordava mai i compleanni, e si era rifiutato di installare il riscaldamento nella stanza della figlia, ma non perché fosse insensibile, dice la Brennan-Jobs, “mi stava trasmettendo un sistema di valori”. Un giorno in ospedale mentre lui è a letto, malato e debole, Lisa si china per baciarlo, e lui la apostrofa: “Lisa, hai l’odore del water di un gabinetto”. Ma lei lo scusa, “era solo sincero”. Lisa è il nome che Jobs diede ad uno dei primi computer Apple, poi abbandonato a favore del Macintosh, ma lui negò sempre che fosse una dedica alla figlia. Fino al giorno di un famoso pranzo nella villa di Bono Vox in Costa Azzurra, a Èze. «Ad un certo punto, Bono chiese”, ricorda Lisa, “ma il computer Lisa si chiama così per lei?”. Ci fu una pausa. Mi preparai alla dura risposta che mio padre mi aveva già dato più volte in passato. Mio padre esitò, guardò il suo piatto per diversi secondi e poi guardò negli occhi Bono: “Si, è così”. Ero in piedi, mi sedetti immediatamente sulla sedia. “Lo sapevo” disse Bono. “Sì” disse mio padre. Studiai la faccia di mio padre. Cosa era cambiato? Perché lo aveva ammesso ora, dopo tutti questi anni? Certo che quel computer aveva il mio nome! Ma in quel momento la sua bugia proseguita per anni sembrava ancora più assurda. A dire il vero, però, mi sentii sollevata». La Lisa diventata adulta tenta ora di recuperare nella memoria i pochi momenti felici trascorsi con il padre severo e assente. “Vorrei che le scene del libro dove pattiniamo e ridiamo insieme diventassero virali come quella di lui quando mi dice che non erediterò nulla”, scrive nella sua autobiografia. E rivela uno degli ultimi attimi con Jobs quando ormai era vicino alla fine. Una sera guardando la tv chiede alla figlia: «Scriverai di me?». Lei risponde di no. «Bene», dice lui, tornando subito a guardare la tv. Il 5 ottobre del 2011, a 56 anni, il fondatore della Apple dopo una lunga battaglia contro il cancro, mai nascosta al mondo muore. E la figlia confessa di aver trovato consolazione negli oggetti a lui appartenuti. «Tre mesi prima della morte di mio padre iniziai a portare via quello che trovavo in casa sua”, confessa. “Andavo in giro a piedi nudi e mettevo in tasca quello che prendevo. Alla fine, mi sentivo sazia».