9, è questo il voto che Sebastian Vettel ha dato alla stagione della Ferrari.
di Carlo Vanzini
Possiamo anche essere d’accordo soprattutto prendendo come punto di partenza la passata stagione.
Le vittorie nel 2016 sono state 0, le cinque di quest’anno rappresentano invece un bottino che la rossa non vedeva dal 2010, quando si è giocata il titolo all’ultima gara, ad Abu Dhabi, proprio contro Vettel.
I numeri sono più che positivi con 5 pole che mancavano dal 2008 e altri tabù infranti dispersi nel tempo. Prima fila tutta rossa, doppietta Ferrari, vittorie in Australia, Monaco e Brasile, tutte situazioni risalenti al decennio scorso, aggiornate in un anno in cui il titolo è stato davvero vicino.
Il voto però scende di molto, una volta assodato che la macchina per vincere il mondiale c’era.
Il tedesco è arrivato a un massimo vantaggio di 25 punti, dopo la sesta gara, il gran premio di Monaco, al termine del quale, Hamilton ha espresso un concetto ben chiaro alla squadra: “abbiamo perso una battaglia, ma non la guerra”, sportivamente parlando.
Da lì in poi le macchine si sono equivalse con una pista più o meno favorevole all’una o all’altra scuderia.
Poi a Baku, l’episodio che non ti aspetti. Vettel fa una manovra da cartellino rosso, dando una ruotata a Hamilton in regime di safety car, si salva con un’ammonizione che gli è costata i 25 punti della vittoria, ma sembrava un danno relativo visto che Hamilton aveva perso comunque dei punti.
Lì però si è capito che Vettel ha delle debolezze, le aveva anche Schumacher, ricordando il suo scontro con Villeneuve 20 anni fa a Jerez. Su quelle Hamilton ha picchiato duro anche a parole iniziando a vincere la sfida prima a livello psicologico e poi in pista.
I colpi di testa ci possono anche stare quando sei l’inseguitore di un cannibale come Hamilton, “armato” della migliore monoposto della storia della F1 con il 90% delle vittorie e delle pole nelle ultime quattro stagioni, quelle dell’era Power Unit. Ci sta, quando cerchi di battere chi è più forte, di avere passaggi a vuoto, fiato corto e grande pressione. Succede in qualsiasi sport e nella vita. Chi sta vincendo tanto ha la forza e la leggerezza del migliore dalla sua, chi è dietro rischia l’apnea e infortuni che in F1 si traducono in errori o affidabilità portata al limite.
Dopo il gran premio di Ungheria il vantaggio era di 14 punti con nove gare ancora da disputare di cui alcune a favore e altre negative, ma con la sensazione comune che la Ferrari avesse il miglior compromesso tecnico per poter essere meno debole dell’avversario nei momenti di difficoltà.
Monza però, a casa, il momento chiave. La batosta rimediata nel gran premio d’Italia, che ha portato Hamilton a diventare leader solitario per la prima volta in stagione dopo ben 13 gare, ha accesso la spia dell’allarme dell’ossigeno che veniva a mancare.
La Ferrari e Vettel dovevano in fretta riprendersi la leadership tra Singapore e Malesia. Questa pressione si è trasformata in uno scontro con Verstappen a Singapore per Vettel mentre in Malesia, Hamilton ha mostrato come si vincono i mondiali, grazie alla calma del più forte, capace di alzare il piede e rinunciare alla lotta per la prima posizione, lasciando andare l’olandese, il baby più caldo della storia della F1. Due situazioni, per certi versi simili, contro lo stesso avversario, diventato suo malgrado arbitro mondiale, gestite in modo diverso con il titolo che ha preso così la direzione di casa Lewis IV.
Il trittico asiatico si è concluso poi con la mazzata definitiva, in Giappone.
E’ una candela a fermare Vettel, l’immagine simbolica, si spegna la candela e si dice buona sera e la luce delle speranze, che dopo 10 anni questo potesse essere l’anno buono per rivedere un pilota con tuta rossa campione del mondo, si spegne.
Vettel voto 7, micidiale in qualifica e veloce in gara, ma con qualche passaggio a vuoto che non gli era consentito avendo l’obiettivo di battere THE HAMMER, il martello Hamilton.
Ha lottato bene e a lungo, sulle sue qualità non ci sono assolutamente dubbi è sulla durata della lucidità che ne sono emersi. Fu così anche per Schumacher, poi diventato idolo e leggenda per i tifosi della Ferrari.
Con il prossimo anno saranno 11 gli anni di astinenza dall’ultimo campionato vinto con Raikkonen, la peggior striscia negativa dopo quella tra il 1979 con Scheckter e il 2000 con Schumacher.
Vettel può fare quello che ha fatto Schumacher, la Ferrari può tornare ad aprire un ciclo, non è lontana, adesso serve mettere insieme i punti deboli, consumo benzina, qualche cavallino che manca, secondo pilota, qualche punto di carico aerodinamico in più, un pizzico di serenità nei momenti cruciali e il gioco è fatto.
Sembra facile, ma non lo è!