LA COMPETIZIONE SLEALE

QUANDO IL MERCATO SPORTIVO, SPORTIVO NON È

A cura di Sara Zannelli, Project Manager INDICAM

Dal WWE al Giro d’Italia, passando per lo Sporting Lisbona, il merchandising sportivo è nel mirino del mercato contraffatto. Le stime dell’Osservatorio Europeo sulla Contraffazione e dei sequestri mostrano un panorama tutt’altro che roseo.
19 marzo 2016, Stadio di Alvalade, lo Sporting Lisbona schierato contro l’Arouca. Partita all’apparenza normalissima: Rui Patrício a difendere la porta dello Sporting, João Mário e Teo Gutierrez che hanno totalizzato ciascuno 2 dei 5 gol totali che hanno portato la squadra alla vittoria e i tifosi sugli spalti. E così i primi quarantacinque minuti sono trascorsi così, normali, ma solo all’apparenza. Infatti i tifosi e gli spettatori più attenti avranno sicuramente notato che qualcosa nella divisa dei giocatori non tornava proprio. Infatti i 4 gol visti nel primo tempo sono stati segnati, due a testa, da giocatori il cui nome sulla divisa era rispettivamente J. Dário e Guterres, ma non solo sul campo si vedevano l’ex interista Schelotto, trasformato in Squeloto. E ancora, Coates è stato convertito in Couts, Ruben Semedo in R. Smedo, Bruno César in Bruno Cézar, William (Carvalho) in Williams, Adrien in Adriano, Slimani in Esliman. E il gol della chiusura è stato segnato da un giocatore che nel primo tempo “si chiamava” Brian (Bryan Ruiz).
“Sembra la stessa cosa… ma non lo è”: ecco come si chiamava l’iniziativa anti-contraffazione promossa dalla squadra. Per tutto il primo tempo sono state osservate le gesta di calciatori dai nomi simili ma non identici a quelli degli originali. La campagna nasceva proprio per cercare di sensibilizzare a un problema come quello del mercato falso di merchandising sportivo che è una delle grandi pieghe del sistema sport, non solo e a quanto pare, in Italia.
Le ultime notizie vedono anche in Italia un fortissimo problema legato alla contraffazione di oggettistica legata a squadre o manifestazioni sportive: non più di una settimana fa la Guardia di Finanza ha fermato al casello autostradale di Ventimiglia un uomo cileno che trasportava in Italia a bordo di un’autovettura migliaia di gadget con il marchio contraffatto del «Giro d’Italia 2017». Un numero preciso di 1.581 pezzi, tutti gadget che apparentemente riportavano il logo ufficiale della manifestazione, ma che si sono rivelati falsi.
Purtroppo, potremmo trovare altri esempi sia Italiani che Europei che identificano un panorama ostico e un mercato ormai capillarizzato e di grandissima portata. Basti infatti pensare all’ingiunzione depositata a tutela del marchio WWE proprio per quanto concerne il merchandising.
Ma come spesso accade nel nostro campo, purtroppo non ci sono dati che mostrino l’effettiva incidenza del mercato nero dei gadget sportivi.
È interessante però, per cercare di contestualizzare la contraffazione nel panorama del mercato sportivo, gli ultimi dati riportati dall’Osservatorio Europeo proprio sulle attrezzature sportive.
Come si legge nel comunicato stampa, si perdono ogni anno 500 milioni di EUR in tutta l’UE a causa di attrezzature sportive contraffatte; ma non solo, le vendite perse a causa della contraffazione di attrezzature sportive, escluso l’abbigliamento, corrispondono al 6,5 % delle vendite complessive del settore nei 28 Paesi dell’UE. Inoltre che nel settore si registra la perdita di circa 2 800 posti di lavoro in tutta l’UE, in quanto i produttori vendono meno di quanto farebbero in assenza delle attività di contraffazione e pertanto impiegano un numero inferiore di persone.
Altri 360 milioni di EUR vengono persi ogni anno nell’UE a causa degli effetti indiretti della contraffazione di attrezzature sportive, poiché i produttori acquistano quantità inferiori di prodotti e servizi dai fornitori, generando effetti a catena anche in altri settori.
Partendo da questi dati e dalle molte notizie che si ritrovano in materia di contraffazione di merchandising, si può parlare di un grave problema che non solo mette in cattiva luce l’idea di sportività e di “tifoseria”, ma soprattutto pregiudica al mercato sportivo italiano la possibilità di visione all’estero. Infatti se si pensa alle stime del fatturato del mercato di merchandising originale e si mette a confronto con quelle che sono le percezioni sull’incidenza di articoli di questo genere per esempio allo stadio, si capisce che esiste un gap nero in cui il mercato contraffatto fa da padrone.
La competizione sleale presente nel mercato del merchandising sportivo porta con sé ripercussioni che si rivedono non solo nel fatturato delle aziende o nelle possibilità di un vero e proprio “Made in Italy” degli articoli di riferimento, ma anche a livello di cultura sportiva.
Un aumento di sensibilizzazione e la creazione di una cultura dell’anticontraffazione anche negli stadi e nei contesti sportivi, potrebbe sicuramente migliorare la situazione attuale di un mercato (ma anche dello sport in generale) che si scontra con problematiche serie e anti-agonistiche.