
Guillaume Bianchi il gladiatore del fioretto. A Parigi 2024 il suo primo argento olimpico
di Andrea Cicini
Guillaume Bianchi, il giovane ragazzo romano che già a 27 anni ha tracciato la sua strada di successo, salendo in pedana tra rinunce, trionfi e battaglie personali. D’altronde si sa, per essere un campione serve prima di tutto imparare a rialzarsi, in caso di caduta. Così ha fatto Guillaume, che dopo un brutto infortunio a 16 anni, ha saputo risollevarsi, tirando fuori anzi un carisma da fuoriclasse, abbozzando un domani iridato ancora tutto da scrivere.
Chi è veramente Guillaume, il romano del fioretto italiano? Ci racconti di te, da dove nasce questa grande passione per la scherma e perché hai scelto la disciplina del fioretto?
Sono un ragazzo italofrancese per parte di madre, a ventisette anni felicissimo della vita che sto vivendo, frutto certamente della mia determinazione, ma anche dell’apporto delle bellissime persone che mi circondano quotidianamente. La scherma l’hanno scelta i miei genitori per me. Avevo 6 anni e non c’era uno sport in particolare che volessi praticare, né un fratello o un amichetto da seguire. Allora i miei genitori, anche se non conoscevano bene questo sport, decisero di iscrivermi al Frascati Scherma, club rinomato in tutta Italia. Diciamo che l’essere un frascatano ha aiutato gli inizi mia carriera. Anche il fioretto non l’ho scelto io direttamente, ma il maestro, valutando le mie doti e la mia attitudine. Ovviamente a sei anni non sapevo nemmeno cosa fosse, ma la scherma è stato ed è il mio primo ed unico sport.
Tante le competizioni internazionali che ti hanno visto sul podio, ma come è stato vestire la maglia della nazionale alla tua prima Olimpiade? Una finale a squadre combattuta ti ha portato a vincere l’argento. Cosa ti è rimasto di quella grande nuova esperienza?
Sono cresciuto in una palestra di campioni, che ogni giorno venivano con la maglia della nazionale per allenarsi. Quindi già dai 14/15 anni il mio obiettivo era vestire quella maglia, perché avrebbe significato riuscire ad essere come quegli “eroi” che io guardavo con estrema ammirazione. A 16 anni arriva la prima convocazione in nazionale, e quindi il primo kit. Fu li che capii che non era la maglia la cosa importante, ma essere stato selezionato per rappresentare l’Italia nel mondo, era quello il senso più vero ed intimo. Da lì il mio obbiettivo si spostò sul diventare il migliore del mio anno, poi il migliore della categoria e così via. Vivo di obiettivi, non si è mai arrivati, ho sempre fame di nuove sfide. Questo mi ha portato a raggiungere le Olimpiadi l’anno scorso, il traguardo più grande che mi sono posto. Dico traguardo e non sogno perché per me il sogno è qualcosa che non puoi raggiungere, mentre la qualificazione alle Olimpiadi, per quanto fosse difficile e impensabile, soprattutto per come è iniziata la qualifica olimpica (polso rotto ed esclusione dal Mondiale), ho sempre pensato che fosse alla mia portata. Ho vissuto poi le Olimpiadi con estrema serenità, cercando di assaporarne ogni momento, conscio che fosse un’esperienza unica. Penso di aver fatto una bella gara, dando tutto me stesso. La finale con il Giappone me la ricordo molto bene. Ero convinto che avremmo vinto quella medaglia d’oro. Non esserci riusciti per me è stata una grande delusione, perché avevamo le carte in regola per vincerla, era davvero alla nostra portata. Questo sono io, ed il sentirmi campione oggi è il motore fondamentale per me. E ad un mese dalle Olimpiadi ero di nuovo pronto a lavorare per la gara successiva.
Atleta delle Fiamme Gialle, quanto è importante per te e quali sono i vantaggi concreti di poter far parte di un prestigioso gruppo sportivo militare? Ti ha aiutato ad arrivare dove sei oggi?
Entrare a far parte del gruppo delle Fiamme Gialle è stata sicuramente la svolta fondamentale della mia carriera sportiva. Senza il loro supporto avrei probabilmente smesso a 20 anni, per dedicarmi allo studio e a crearmi una carriera professionale. I gruppi sportivi per gli sport cosiddetti “minori”, come la scherma, sono necessari, perché ti permettono di allenarti come dovrebbe fare un professionista, concentrandosi al 100% nello sport. È grazie a loro che l’Italia vanta queste medaglie alle Olimpiadi.
Come si svolgono le tue giornate tipo? Sicuramente un impegno quotidiano importante, ma che ti permette anche di studiare o seguire altre passioni? E quali sono i prossimi obiettivi su cui stai lavorando?
Io mi alleno tendenzialmente 8 volte alla settimana con una media di 2/3 ore per seduta. Quindi la scherma è la mia priorità, ma il tempo per fare altro se sei organizzato lo trovi. Ora non studio, sono laureato in economia aziendale. Il tempo libero cerco di passarlo con mia moglie e con i miei due cani, Zeus e Luna. I prossimi appuntamenti sportivi saranno Cairo e Lima, le tappe del circuito di Coppa del Mondo di questa stagione iniziato a novembre con Tunisi.
Nell’epoca del digitale, della “cellular addiction” e dell’Intelligenza Artificiale, quanto è importante coltivare una passione sportiva? Cosa raccomanderesti ai giovani che vogliano avvicinarsi ad una disciplina sportiva come possibili futuri professionisti?
Lo sport è vita. Ognuno di noi dovrebbe praticare uno sport, anche poco al giorno. Fa bene da ogni punto di vista. Se lo fai poi al nostro livello allora poi diventa anche un impegno importante e a volte sembra che non ti faccia così tanto bene…
A parte gli scherzi, se posso dare un consiglio ai bambini e ai ragazzi, è quello di provare uno sport, con leggerezza, con la voglia di divertirsi. L’importante è dare il meglio di sé, dare quello che si ha. Il professionismo, le Olimpiadi, verranno se dovranno venire, con il tempo. Ora, direi, “pensate a divertirvi e a impegnarvi ascoltando i vostri istruttori/maestri/allenatori. Le vittorie sono una conseguenza di impegno e voglia (anche di divertirsi)”.
Un atleta affronta grandi rinunce per raggiungere traguardi importanti, come le Olimpiadi. Quali sono le tue rinunce più grandi e soprattutto cosa è che ti motiva quotidianamente?
Le rinunce fanno parte della vita. L’ho sempre saputo, e questo mi ha aiutato ad accettarle, soprattutto da piccolo. Perché le rinunce da professionista sono scontate (cibo, altri sport, vacanze), ma quelle difficili da accettare sono quelle da bambino, quando vai a scuola e non hai il tempo di uscire con i tuoi compagni perché devi allenarti, oppure non puoi coltivare un’amicizia perché sei sempre in giro a disputare gare. Questo è una delle cose che ho sofferto di più, anche perché queste rinunce sono un po’, per così dire, a fondo perduto, perché all’inizio non sei un professionista e non sai se riuscirai mai ad esserlo. Per fortuna mia moglie, che frequento da quando avevamo appena 16 anni, capì quello che stavo provando a diventare, accettando di vederci molto poco, sostenendomi e non facendomi mai pesare questo. Che poi, comunque, nel tempo non è cambiato molto. Sono spesso lontano da casa per ritiri o gare, e lei lo accetta perché sa quanto è importante per me la carriera sportiva.
Che cosa significa e cosa senti dentro, ogni volta che metti i piedi sulla pedana?
Quello che sento quando entro in pedana oggi, per una gara, è molto diverso da quello che provavo anni fa. Prima era un crescendo di ansia, con tanta voglia di vincere, ma anche tanta paura di perdere. Ora lo vivo con più serenità, con meno emozioni sia negative sia positive, più concentrato sulle azioni che devo fare, cercando di escludere il contesto. Mi dico “stai salendo in pedana come fai tutti giorni, più volte a giorno, non c’è niente di nuovo, fai quello che devi fare”.
Cosa ti caratterizza di più oggi come schermitore? Quale è una curiosità su di te?
Io vengo considerato uno degli schermitori più atipici del panorama mondiale. Questo è dovuto dal fatto che mi sono inventato un modo molto personale di fare scherma, dopo un grave infortunio che ho avuto a 16 anni e che ha caratterizzato tutta la mia carriera.
Avevo subito la rottura del polso della mano armata (precisamente della scafoide), ma il problema è che questo è successo alla prima gara della stagione, mentre mi sono operato solo dopo l’ultima gara, quindi otto mesi dopo, aggravando molto la situazione. Dopo l’operazione avevo perso quasi totalmente la mobilità del polso, quindi, insieme al mio maestro Marco Ramacci, dovemmo lavorare tanto sull’utilizzo delle gambe in pedana per sopperire all’uso della mano. Questo con il tempo ha creato uno stile unico, con un fioretto angolato al contrario, così che non sentissi dolore quando tiravo le botte.
Negli anni però, purtroppo, il polso non mi ha mai lasciato in pace, costringendomi ad altre tre operazioni, l’ultima proprio durante la qualifica olimpica del 31 luglio 2023. Il chirurgo che mi operato l’ultima volta mi ha detto che con l’infortunio che ho avuto a 16 anni il 90% delle persone avrebbe smesso di praticare la scherma. Il restante 10% avrebbe continuato…per hobby. Quella è stata una delle poche volte che mi sono fermato e mi sono guardato indietro, ripercorrendo quello che avevo fatto, felice e fiero del mio percorso.