CALCIO. I TYCOON NORDAMERICANI ALLA CONQUISTA DEI CLUB EUROPEI, NEI MAGGIORI CAMPIONATI SONO GIÀ 27
La English Premier League (EPL) attrae per il fascino globale, i ricchi contratti di sponsorizzazione e i ricavi milionari provenienti dai diritti TV; la Serie A interessa per i bassi costi di acquisizione e il notevole potenziale di crescita. L’eccezione è rappresentata dalla Bundesliga, dove l’unico club di proprietà straniera è l’RB Leipzig, controllato dagli austriaci del gruppo Red Bull.
In sintesi, Arsenal (controllato da Kroenke Sports & Entertainment), Aston Villa (Wes Edens), Bournemouth (Black Knight Football Club), Chelsea (BlueCo), Crystal Palace (Joshua Harris e David S. Blitzer), Everton (The Friedkin Group), Fulham (Shahid Khan), Ipswich Town (Gamechanger 20 Ltd), Liverpool (Fenway Sports Group) e Manchester United (Glazer Family) in Premier League; Atalanta (Stephen Pagliuca), Bologna (Joey Saputo), Fiorentina (Rocco Commisso), Genoa CFC (777 Partners), Inter (Oaktree), Milan (RedBird), Parma (Krause Group), AS Roma (The Friedkin Group) e Venezia (VFC Newco 2020 LLC) in Serie A; Le Havre (Vincent Volpe), Olympique Lionnais (John Textor), Olympique Marseille (Frank McCourt), Saint-Étienne (Kilmer Sports), Strasbourg (Todd Boehly) e Toulouse (RedBird) in Ligue 1; Leganés (Blue Crow Group Sport) e Mallorca (Robert Sarver) in LaLiga.
Sono queste le “27 sorelle” dei principali campionati europei guidate da facoltose proprietà nordamericane (alle quali potrebbero presto aggiungersi altri club, tra cui, come riportato da molte autorevoli testate tra cui Il Sole 24 ORE, l’AC Monza, società, al momento controllata da Fininvest, finita nelle mire di GAMCO, un fondo americano, che fa capo al miliardario italo-americano Mario Gabelli, con una capitalizzazione di mercato di circa 550 milioni di dollari). Alla base del crescente interesse dei miliardari nordamericani per i club europei c’è la convinzione che il calcio europeo, i cui ricavi – come da noi evidenziato in un recente articolo – sono ormai comparabili a quelli delle principali leghe statunitensi, possa generare fatturati ancora più elevati se solo venisse valorizzato e spettacolarizzato seguendo il modello delle competizioni di NFL, NBA e MLB. Tuttavia, l’Europa (e in particolare l’Italia) non è il Nord America: gli ostacoli politici e burocratici con cui spesso devono confrontarsi i proprietari intenzionati a investire nella costruzione di nuovi impianti, o nell’acquisizione e modernizzazione di stadi esistenti, rappresentano un problema che potrebbe scoraggiare molti potenziali investitori (per Carlo Cottarelli, economista ed ex direttore del Fondo Monetario Internazionale, l’eccessiva burocrazia rappresenta uno dei sette peccati capitali capaci di bloccare il nostro paese). Quanto sopra citato è ben sintetizzato in una recente intervista rilasciata da Rocco Commisso al Corriere Fiorentino, nella quale il patron viola ha dichiarato che non può più fare quello che poteva cinque anni fa, avendo già speso 430 milioni. Ciononostante, ha aggiunto che, se ci fosse l’opportunità di agire in tempi brevi e se la Fiorentina ottenesse il controllo totale dello stadio con una concessione lunga per gestire marketing, costi e ricavi, sarebbe pronto a sedersi a un tavolo. Prima di chiudere, è interessante spiegare una delle cause per cui la Bundesliga non ha (ancora) investitori nordamericani: la regola 50+1. Questa norma garantisce che i membri del club, cioè i tifosi, mantengano sempre la maggioranza dei diritti di voto, impedendo a investitori esterni di acquisire il controllo. Nel Bayern Monaco, ad esempio, il 75% delle azioni è detenuto dal club, mentre Audi, Allianz e Adidas hanno solo quote minoritarie. Il RB Leipzig rappresenta una delle poche eccezioni alla regola. Ciò è stato possibile costituendo una società a garanzia limitata — l’equivalente della società a responsabilità limitata nel diritto italiano — con un ristretto gruppo di soci.